Da “soddisfacente” a “situazione problematica”. In compagnia di Polonia, Ungheria, Bulgaria e Ucraina. Oltre a Niger, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Gabon, Zambia e Botswana.
È la stampa bellezza! E quella italiana, a proposito di libertà, è messa decisamente male. Non serviva la classifica di Reporters sans Frontières (Rsf), che ha retrocesso il nostro Paese dal 41° al 46° posto, per certificare quello che si sapeva già.
Che cioè nell’era di TeleMeloni la situazione dell’informazione italiana fosse ulteriormente scaduta. Decisamente interessanti sono però le motivazioni del declassamento del nostro Paese.
Nel mirino di Rsf è finita innanzitutto la “legge bavaglio”, che impedisce ai giornalisti di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare (anche se pubbliche) fino all’udienza preliminare, approvata dalla maggioranza di Centrodestra ma su iniziativa di Azione.
Poi c’è il caso di “un membro della coalizione parlamentare al potere” che “sta cercando di acquisire la seconda più grande agenzia di stampa”. Il riferimento è alla scalata dell’Agi, di proprietà dell’Eni, partecipata dallo Stato, da parte del Gruppo di riferimento del parlamentare della Lega, Antonio Angelucci, big della Sanità privata nonché editore di Libero, Il Giornale e Il Tempo.
Un conflitto di interessi gigantesco – deflagrato con il report di Rsf in una figuraccia internazionale – di fronte al quale Giorgia ha fatto spallucce: “Non so niente di cosa stia facendo l’Eni con l’Agi, non mi sono mai occupata di questa materia e non mi interessa”.
Ma essendo a capo del governo, che nomina i vertici dell’Eni, dovrebbe interessarle eccome. è stata lei stessa del resto a chiedersi se “è normale che una partecipata abbia un’agenzia”. Lasciando però in sospeso un altro interrogativo: è normale che una partecipata dello Stato tratti con un privato la cessione di un proprio asset anziché venderlo sul mercato al miglior offerente?
P.S.: come sapete Gaetano Pedullà ha deciso di lasciare la direzione de La Notizia per candidarsi alle Europee. Gli auguro di essere eletto per portare a Strasburgo le battaglie sulla libertà di stampa per le quali questo giornale si è sempre contraddistinto. In gioco c’è uno dei pilastri della democrazia.