Che questo governo abbia dichiarato guerra al Sud non ce lo dice solo il disegno leghista sull’Autonomia differenziata. L’ultimo schiaffo come lo chiama il leader del M5S, Giuseppe Conte, al Mezzogiorno arriva con la decisione del governo Meloni di fermare la “decontribuzione Sud”. L’indiscrezione arriva da Repubblica.
Il ministro per gli Affari europei, Sud, Politiche di coesione e Pnrr, Raffaele Fitto, replica con una lunga nota in cui fa la storia della misura, giudica “falsa e pretestuosa” la ricostruzione offerta dalle opposizioni che hanno denunciato lo smantellamento della norma, ma di fatto conferma che il governo ha deciso di non chiederne più all’Europa l’autorizzazione a prorogarla, nell’ambito degli aiuti di Stato. Autorizzazione fino a oggi sempre concessa da Bruxelles.
Le finte rassicurazioni di Fitto sul Sud
Fitto assicura poi di voler lavorare a una non meglio precisata nuova riedizione. Lo sgravio ricorda il quotidiano è stato immaginato nel 2020, poco prima della pandemia dal governo Conte II, per sostenere le aziende, mantenere posti di lavoro, crearne di nuovi e attrarre investimenti. In vigore dal 2021 doveva finire nel 2029, prevedendo un décalage.
E invece tra due mesi, dal primo luglio, le imprese del Sud dovranno fare i conti con l’improvviso aumento del costo del lavoro di quasi un terzo. E questo nonostante Inps, Inapp e Upb, in tre diversi studi, abbiano certificato che la “decontribuzione Sud” abbia un “impatto positivo sull’occupazione”. Le Regioni coinvolte sono otto e di queste cinque di centrodestra: Sicilia, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria.
Opposizioni sulle barricate contro Fitto
“Questo governo sta schiaffeggiando il Sud. La misura decontribuzione Sud ha consentito assunzioni tra il 2021 e il 2023 nel Sud, in aree svantaggiate, di circa 3,7 milioni di lavoratrici e lavoratori”, ha detto Conte. E Filippo Scerra, questore della Camera pentastellato, annuncia un’interrogazione parlamentare al governo sullo smantellamento di questa norma. In allarme anche i sindacati, che hanno avuto la notizia dello stop proprio da Fitto.
“Non confermare il taglio del costo del lavoro per oltre tre milioni di lavoratori dipendenti aggiunge ulteriori rischi sul fronte occupazionale per quelle regioni”, ha detto il segretario confederale della Uil, Santo Biondo.
Fitto spiega che il governo aveva già chiesto alla Ue “la massima estensione temporale compatibile con la scadenza del Quadro temporaneo” sugli aiuti di Stato, una tagliola da cui però ora non sarebbe, a suo dire, più possibile scappare. Per questo ora “il governo avvierà un negoziato con la Commissione europea per verificare nuove modalità possibili di applicazione della misura, in coerenza con la disciplina europea ed al di fuori delle misure straordinarie del temporary framework sugli aiuti di Stato”.
Gli altri schiaffi del governo al Sud
Il ministro ricorda che il decreto Coesione, che il governo ha ribattezzato decreto primo maggio, prevede proprio una serie di misure per il lavoro tra cui diversi bonus che incentivano le assunzioni di donne, giovani e disoccupati soprattutto al Sud. Ma per le opposizioni questi bonus sarebbero di gran lunga inferiori e meno efficaci.
Questa, dicevamo, non è l’unica misura contro il Sud del governo. Le destre hanno smantellato l’Agenzia per la coesione. Dal Pnrr, poi, c’è stato il taglio da 15,9 miliardi di euro con la revisione del Piano: la metà dei progetti riguardava il Sud. E ancora: Il governo ha chiuso sei Zes, Zone economiche speciali, da Palermo a Napoli. Al loro posto è prevista la Zes unica per tutto il Sud, che stenta a decollare.
E poi c’è stato il taglio al Fondo perequativo infrastrutturale: 4,4 miliardi promessi al Sud, solo in parte ripristinati. A restare è solo il Ponte sullo Stretto, tanto caro al vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini. Per finanziarlo però sono stati tolti 1,6 miliardi di fondi destinati a Sicilia e Calabria.