C’è da chiedersi a che gioco stia giocando il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, nella delicata partita in Medio Oriente. Dopo mesi di annunci, indiscrezioni e trattative, è arrivato l’ultimatum su Rafah con il governo di Tel Aviv che ha dichiarato che i preparativi per l’offensiva via terra nella città, che ospita oltre 2 milioni di palestinesi, sono ormai ultimati e se Hamas non accetterà “entro 72 ore” le condizioni per il rilascio di 33 ostaggi e un cessate il fuoco di 40 giorni, allora prenderà il via l’attacco. Si tratta di parole che sembravano destinate a fare pressioni sul gruppo terroristico, forzandolo ad accettare l’accordo.
Il Medio Oriente resta nel caos
Peccato che poco dopo, a sabotare l’intesa che sembrava ormai vicina a una felice conclusione, con Hamas che si è detta “possibilista” per un accordo riservandosi di rispondere entro domani sera, ci abbia pensato Netanyahu con parole di fuoco: “L’idea di fermare la guerra prima di aver raggiunto tutti i suoi obiettivi è fuori discussione. Entreremo a Rafah ed elimineremo i battaglioni di Hamas lì, con un accordo o senza accordo, perché intendiamo raggiungere la vittoria totale” sui terroristi.
Davanti a simili dichiarazioni, appare chiaro che non ci sono margini di trattativa, né per evitare un bagno di sangue a Rafah, né per giungere a un cessate il fuoco che sembrava più che possibile. Sull’accordo, infatti, funzionari di Hamas avevano fatto trapelare “buone sensazioni”, in quanto la proposta includeva “concessioni da parte di Israele su diversi punti”, a partire dal “ritorno incondizionato degli sfollati, abbandonando l’idea che non torneranno”.