Dopo ventisei mesi di scontri e violenze, è giunto il tempo di far sedere al tavolo delle trattative gli Stati Uniti, l’Ucraina e la Russia. Questo, almeno, è quanto ha detto Antony Blinken, il segretario di Stato americano, a margine del suo tour in Medio Oriente dove sta cercando di scongiurare una potenziale carneficina a Rafah. “Non appena la Russia dimostrerà di voler sinceramente negoziare, noi saremo sicuramente lì, e credo che anche gli ucraini saranno lì”, ha esordito il diplomatico statunitense.
C’è da chiedersi il perché gli Usa vorrebbero prendere parte a queste trattative di pace se, come sempre sostenuto dall’amministrazione di Joe Biden, Washington non ha preso parte al conflitto, limitandosi alle sole forniture militari. Parole che, a ben vedere, sembrano confermare quanto sostengono da tempo numerosi esperti militari, ossia che quella in Ucraina sia una guerra per procura tra gli Stati Uniti e la Russia.
Ma Blinken non si è limitato a questo perché subito dopo ha aggiunto che la fine della guerra “dipende in gran parte da Vladimir Putin e da ciò che deciderà. Spero che Putin capirà il messaggio e dimostrerà la sua disponibilità a negoziati sinceri in conformità con i principi fondamentali che sono alla base della comunità internazionale e della Carta delle Nazioni Unite: sovranità, integrità territoriale, indipendenza”. Insomma, la responsabilità della deflagrazione del conflitto come anche della sua continuazione, secondo il segretario di Stato americano, è tutta a carico di Mosca.
Il bluff di Blinken
Qualcuno potrebbe pensare che questa apertura di Blinken sia un passo deciso verso l’avvio di trattative di pace, e forse è così. Tuttavia, alla luce di oltre due anni di accuse e contro accuse, non si può che dubitare della sincerità di questa “mano tesa” da Washington a Mosca. Un dubbio legittimo che trova giustificazione proprio nelle parole del diplomatico statunitense che poco dopo, con frasi assolutamente fuori luogo, ha rilasciato dichiarazioni che mirano ad umiliare l’esercito russo. Secondo lui, sempre parlando con i cronisti, l’aggressione della Russia “si è trasformata in un fiasco strategico” per il Cremlino, che ha dovuto compiere “enormi sforzi per eludere i controlli e le sanzioni sulle esportazioni ed è stata costretta a riorientare la propria economia”.
E ancora: “Quella della Russia è una situazione che non può essere sostenuta a lungo termine (…) con un Paese che adesso è più debole economicamente e militarmente, a differenza degli ucraini che sono uniti come mai prima d’ora”. Come se non bastasse, questa volta con parole che hanno il sapore del monito nei confronti di Putin, ha aggiunto che “la Nato è più forte e più grande” di prima, mentre “l’Europa nel frattempo si è liberata della dipendenza dalle risorse energetiche russe in modo straordinario in soli due anni”.
La ricetta degli Usa di Blinken: fine guerra mai
Provocazioni a parte, l’apertura degli Stati Uniti a una trattativa di pace appare poco più che di facciata. Del resto, in questo momento, le truppe di Putin avanzano lentamente ma costantemente, mentre quelle di Volodymyr Zelensky scontano ancora ritardi nelle forniture militari dall’Occidente che rendono pressoché impossibile una resistenza convincente. In questo scenario, lo Zar difficilmente potrà acconsentire a sedersi al tavolo delle trattative perché potrebbe voler massimizzare il vantaggio tattico, guadagnando quanto più territorio possibile.
Per non parlare del fatto che per giungere alla pace non può bastare un’intesa tra Biden e Putin, ma sarà necessario che dia il benestare anche – e soprattutto – Zelensky. Peccato che il leader ucraino sia il primo a non voler trattare, tanto da aver detto chiaro e tondo che “non ci sarà pace fino a quando tutti i territori del Donbass e la Crimea non saranno di nuovo controllati da Kiev”.