di Vittorio Pezzuto
Non si era mai vista la non sfiducia parlamentare a un ministro accompagnata da una contemporanea, generale richiesta di dimissioni. Un paradosso di cui chiediamo conto al deputato del Pd Ivan Scalfarotto, che come tanti è stato costretto dalla ragion di Stato e di partito a votare in difesa del Guardasigilli Annamaria Cancellieri. «L’altra sera il premier Letta è venuto a spiegarci – osserva – che quello contro un ministro importante come quello della Giustizia fosse in realtà un attacco politico all’interezza del governo. Non sono d’accordo. Un ministro sotto schiaffo, che deve sopportare quotidianamente uno stillicidio di indiscrezioni e notizie, non rafforza l’esecutivo. Tutt’altro».
Lo spieghi al presidente della Repubblica, che in maniera irrituale ne ha preso decisamente le difese. Non crede che stia operando al di fuori dei limiti costituzionali?
«Non lo penso. Napolitano si sta attenendo strettamente alla lettera della Costituzione. Solo che a differenza di quanto accadeva nella prima Repubblica – quando l’inquilino del Colle veniva definito un “leone dormiente” – adesso il capo dello Stato si vede costretto, a causa della debolezza dei partiti, a utilizzare tutti i suoi poteri al 100 per cento».
Ormai nella classe politica ci si rassegna alle dimissioni solo se formalmente coinvolti in inchieste della magistratura. Quelle per mera opportunità non sono nemmeno contemplate…
«La responsabilità penale e quella politica sono due elementi completamente distinti. E se si incarnano le istituzioni la seconda è fondamentale: le dimissioni andrebbero quindi date ogniqualvolta se ne lede il prestigio. Va però detto che questa distorsione tipica della seconda Repubblica ha un padre politico preciso: Silvio Berlusconi. Un parlamentare condannato dalla Cassazione, che non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro e che anzi sviluppa un contenzioso che rischia di far cadere il governo…».
Un ministro così azzoppato rischia di compromettere in partenza il buon esito parlamentare di provvedimenti delicati come l’amnistia e l’indulto.
«Il rischio c’è tutto. Come sapete, entro il 28 maggio l’Italia deve ottemperare alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che altrimenti comporterebbe un danno economico potenziale di circa 40 milioni di euro (il suo giudizio su 7 episodi identici di malagiustizia potrebbe infatti essere replicato in altri 2.800 casi analoghi tuttora in attesa di giudizio). Ma aldilà dell’aspetto economico, qui paghiamo soprattutto il disonore nazionale per lo stato indecoroso delle nostre carceri, lo stesso su cui siamo stati opportunamente richiamati dal messaggio inviato alle Camere dal presidente Napolitano. Occorre quindi che il Parlamento decida in fretta sugli strumenti più idonei per risolvere strutturalmente una situazione che si trascina da anni. Il ministro Cancellieri ha finora dato prova di una sensibilità personale su questi temi ma la sua attuale debolezza politica non aiuta. In questo contesto avremmo bisogno di un Guardasigilli saldamente in sella, autorevole e credibile. Così non è, purtroppo».
Possiamo dire che il diktat di Letta al vostro gruppo e il commento sprezzante di D’Alema a Renzi (“Sulla Cancellieri incarta e porta a casa”) abbiano assicurato la vittoria del sindaco di Firenze alle primarie?
«Lo penso anch’io. Pure in questa occasione Matteo ha confermato nei fatti la sua grande lealtà al partito, la stessa di cui ha dato prova un anno or sono dopo aver perso le primarie contro Bersani. Alla vigilia della sua auspicabile vittoria al congresso, ha scelto di rimettersi alle decisioni prese dal nostro gruppo parlamentare. E soprattutto ha dimostrato una vicinanza al comune sentire del Paese che il Pd, a tratti, sembra aver perduto».
L’esecutivo delle larghe intese sembra ormai in minoranza rispetto agli stessi partiti che l’appoggiano.
«Vede, nel giro di pochi mesi la composizione interna del Parlamento è già completamente cambiata rispetto al risultato delle elezioni. Questo governo ha insomma ottenuto la fiducia da una maggioranza che nel frattempo ha cambiato di forma. E spesso dà l’impressione di non avere un filo diretto con i gruppi parlamentari che lo sostengono. Basta guardare alla stessa Legge di stabilità, che ha ricevuto critiche da tutta quanta la maggioranza. Un fenomeno che in effetti può appare incomprensibile all’opinione pubblica».
E quindi?
«E quindi, rispetto alle sue strategie parlamentari, il Pd deve mostrare maggiore compattezza, una rinnovata sintonia con il Paese e una schiena più dritta. Con l’avvento di Renzi alla segreteria, il nostro partito saprà avere una linea più marcata e chiara che non potrà che far bene al governo Letta. Un Pd forte rende il governo più forte, non certo il contrario».