Ufficialmente la data ancora non c’è, ma salvo colpi di scena l’annunciata offensiva terrestre di Israele a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dovrebbe iniziare martedì o al più tardi in settimana. Questo almeno è quanto riportano i media statunitensi che hanno rilanciato l’indiscrezione secondo cui il segretario di Stato americano, Antony Blinken, martedì sarà a Tel Aviv per discutere del blitz nella città in cui vivono almeno 1,5 milioni di palestinesi.
L’offensiva terrestre di Israele a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dovrebbe iniziare martedì o al più tardi in settimana
Sempre stando a quanto trapela, il diplomatico degli Usa tenterà ancora una volta di dissuadere il governo di Benjamin Netanyahu dal lanciare l’offensiva, ma, davanti a margini di trattativa pressoché assenti, non potrà fare altro che chiedere il rispetto delle convenzioni internazionali e l’impegno a riprendere le trattative con i terroristi di Hamas per arrivare alla sospensione dei combattimenti a Gaza e alla contestuale liberazione degli ostaggi.
Quel che è certo è che il blitz a Rafah rischia di infiammare ancor di più il Medio Oriente. Particolarmente critica è la situazione con l’Egitto, guidato dal presidente Abdel Fattah al-Sisi, che per settimane ha ripetuto che l’attacco alla città nel sud della Striscia di Gaza costituisce una “linea rossa da non oltrepassare”, capace di rovinare le relazioni tra il Cairo e Tel Aviv.
Così, mentre Israele continua i preparativi per sferrare l’attacco a Rafah, dove l’esercito dello Stato ebraico ritiene che si nascondano quattro battaglioni di Hamas, l’Egitto, temendo un esodo di “profughi di guerra” palestinesi che potrebbero entrare nel Sinai in seguito all’assalto, da un lato sta provando a fare pressioni su Hamas per accettare un accordo di pace – l’ultima speranza per scongiurare l’invasione della città – mentre dall’altro ha messo in pre-allarme sia gli ospedali dell’area e sia l’esercito che dovrà garantire il rispetto del confine.
Trattative di pace tutte in salita, con l’unica proposta ancora sul tavolo che è quella di Israele che chiede il rilascio di “33 ostaggi” tra donne, anziani, malati e persone con traumi mentali, in cambio di una tregua temporanea di cinque o sei settimane. Molto diverse, invece, le richieste di Hamas che vorrebbe la liberazione di centinaia di detenuti e una tregua lunga almeno sei mesi. Trattative che sembrano destinate all’ennesimo fallimento. A pensarlo sono i familiari degli ostaggi israeliani che hanno tenuto una manifestazione davanti all’abitazione del ministro, Benny Gantz, per invitare il leader di Unità Nazionale nonché membro del gabinetto di guerra a lasciare il governo.
Altro “incidente” a Gaza, colpita una struttura della Croce Rossa
Mentre la diplomazia muove timidi passi, a parlare sono ancora – e soprattutto – i missili e le bombe. Come troppo spesso accaduto in questi mesi di guerra, un nuovo incidente sta infiammando il Medio Oriente. Si tratta di un raid dell’aviazione di Tel Aviv che ha colpito una struttura del Comitato internazionale della Croce Rossa a Gaza City, causando la morte di almeno tre persone.
Tensione anche con il Libano, dove si sono susseguiti lunghi scambi di artiglieria tra Israele e Hezbollah, e nel Mar Rosso dove il gruppo yemenita Houthi, sostenuto dall’Iran, ha rivendicato di aver preso di mira la nave Msc Darwin nel Golfo di Aden e dichiarato che le operazioni di guerriglia continueranno fino a che “non cesseranno gli attacchi che lo Stato ebraico sta lanciando nella Striscia di Gaza”.