No, l’allarme repressione in Italia non è un’invenzione di qualche oppositore politico, “l’uso sproporzionato e non necessario della forza” per reprimere proteste di piazza “lo ha confermato anche la nostra Task Force osservatori, specializzata nel monitoraggio del corretto svolgimento delle proteste da parte delle forze dell’ordine, che abbiamo inviato in diverse manifestazioni”. A sancire la discesa di libertà di manifestazione è Amnesty International nello studio sull’Italia contenuto del ‘Rapporto 2023-2024 – La situazione dei diritti umani nel mondo‘, che prende in esame 155 Paesi.
Ilaria Masinara, responsabile dell’Ufficio campagne di Amnesty International, fa riferimento recenti manifestazioni contro il G7 a Napoli oppure i tanti cortei organizzati in tutta Italia in solidarietà con la Striscia di Gaza dai movimenti filo-palestinesi, oppure per la giustizia climatica o i “no Tav”. “Non è ovviamente messo in discussione il diritto degli agenti alla loro sicurezza, – precisa Amnesty – che va sempre garantita. La polizia tuttavia dovrebbe trovare meccanismi di disengagement, facendo un uso proporzionato della forza” dice Masinara, avvertendo che “si registra spesso l’uso di armi meno letali, come i gas lacrimogeni – lanciati anche ad altezza persona – o i manganelli”. L’Ong sottolinea la mancanza di codici identificativi degli agenti in tenuta antisommossa che garantirebbe trasparenza.
I segnali preoccupanti secondo Amnesty international
Nel nostro Paese, scrive Amnesty, si assiste anche “alll’arretramento sul reato di tortura”: preoccupano le proposte di revisione della legge e le notizie di violenze registrate nel carcere minorile ‘Beccaria’ di Milano”, uscite in questi giorni, “ce lo ricordano”. Masinara segnala anche una “crescente narrativa negativa, che presenta gli attivisti come criminali e facinorosi, mentre la disobbedienza civile viene inquadrata come un ostacolo. Penso agli ambientalisti che in questi mesi hanno bloccato le autostrade”. La responsabile continua: “In questi casi non viene quasi mai posta l’attenzione sulle richieste degli attivisti né lasciato a loro il compito di spiegare le istanze, che invece sono illustrate da altri”.
C’è poi la storica carenza di diritti nella gestione delle migrazioni. “Cancellando la protezione internazionale, l’accoglienza e l’assistenza, nel nostro Paese è stata peggiorata la situazione; lo dimostrano tragedie come la strage di Cutro, in Calabria, ma anche gli accordi che il governo ha stretto con Libia, Tunisia e Albania, con cui l’Italia delocalizza la gestione delle persone”. Per quanto riguarda le questioni di genere”aspettiamo – dice Masinara – ancora la legge che adegui il reato di stupro alla Convenzione di Istanbul nonché la legge che tuteli le persone Lgbt dai crimini d’odio e dai discorsi odio”. Questo a fronte di una “crescente narrativa pubblica discriminante nei confronti di figli nati da coppie omosessuali e su persone con identità di genere non binaria nelle scuole”. Nel 2023 si sono poi “registrati 97 femminicidi, 67 dei quali commessi da partner o ex partner, mentre i servizi di aiuto sono sottofinanziati”.
C’è infine la questione del diritto di aborto, messo in discussione proprio in questi giorni con l’emendamento inserito dalla maggioranza nel decreto Pnrr per aprire le porte dei consultori alle associazioni antiabortiste. La responsabile di Amnesty spiega che a causa del numero di medici obiettori di coscienza “in molte regioni le donne non hanno adeguato accesso all’aborto, mentre si moltiplicano le azioni regionali a tutela del feto”. Infine la Ong segnala l’astensione dell’Italia nel voto Onu che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza mentre il nostro Paese continua a vendere armi a Israele.