Davanti alla ferrea determinazione del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, di vendicarsi con l’Iran per l’attacco di sabato scorso, gli Stati Uniti di Joe Biden sono disposti a tutto pur di evitare azioni che potrebbero comportare l’escalation regionale del conflitto. Proprio per questo, secondo quanto riporta il giornale arabo con base a Londra, Al-Araby Al-Jadeed, il leader di Washington avrebbe proposto al collega di Tel Aviv una sorta di ‘scambio’ consistente nel via libera americano all’annunciata offensiva via terra a Rafah, la città nella Striscia di Gaza in cui vivono 1,5 milioni di persone, in cambio dell’impegno a condurre un attacco limitato in Iran.
La risposta di Tel Aviv alla proposta di Biden
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di fantapolitica o di un’invenzione giornalistica, ma così non è. A lasciarlo intendere è il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, che commentando queste indiscrezioni ha detto che “Israele è libero di fare ciò che vuole”, aggiungendo che “quando reagiamo, abbiamo la certezza che ciò che viene deciso è ciò che viene eseguito”.
Lo stesso, dimostrando come lo Stato ebraico non voglia minimamente subire ingerenze internazionali, aggiunge che “le nostre missioni non diminuiranno, aumenteranno solo. Questa realtà di essere attaccati da aree diverse è complessa e ci sfiderà e ci accompagnerà”. Poi, se non fosse già abbastanza, ha lanciato ulteriori – e pesanti – minacce affermando: “L’Iran ha mani sporche di sangue, le taglieremo ovunque”.
Biden vuole evitare il disastro atomico
Insomma la tensione in Medio Oriente continua a crescere. Lo sanno bene i servizi di intelligence americani che all’emittente Abc hanno ribadito che la controffensiva israeliana all’Iran “ci sarà”, ma che è improbabile che venga effettuata “prima della fine della Pasqua ebraica che comincia lunedì 22 aprile e termina il 29”.
Parole che non sono sfuggite al governo di Teheran che, davanti alla minaccia di Tel Aviv, continua a mostrare i muscoli con parole che stanno allarmando il mondo intero. A chiarire quale sia la posta in gioco è Ahmad Haghtalab, responsabile della sicurezza nucleare del Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica iraniana, che ha detto chiaro e tondo che “se Israele attaccherà i nostri siti nucleari, certamente risponderemo colpendo quelli israeliani che sono già stati identificati”.
Ma non è tutto. Lo stesso comandante dei pasdaran ha poi aggiunto che di fronte alle minacce israeliane l’Iran potrebbe rivedere la sua “dottrina nucleare”, sollevando preoccupazioni sul programma atomico che Teheran ha sempre detto essere stato sviluppato per soli scopi pacifici. “Una revisione della nostra dottrina e politica nucleare, nonché delle considerazioni precedentemente comunicate, è del tutto possibile”, ha concluso Haghtalab.
Israele è pronto a colpire
Che la situazione stia sfuggendo di mano lo lascia capire il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, convinto che il Medio Oriente sia sull’orlo di un “conflitto regionale su vasta scala”, alla luce delle crescenti tensioni sulla guerra a Gaza e sull’annunciato attacco dell’Iran a Israele. Difficile dargli torto visto che anche nella Striscia il conflitto non accenna a fermarsi.
Al contrario sono in aumento le operazioni dell’esercito israeliano che, complice l’apertura degli Usa, ora hanno messo nel mirino Rafah con un raid che ha causato la morte di 8 persone di una stessa famiglia, tra cui 5 bambini. Un’operazione dell’aviazione che potrebbe significare che il blitz delle forze terrestri è ormai dietro l’angolo. Lo sa bene l’Alto commissario per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, che ha nuovamente esortato Netanyahu a “non attaccare” la città palestinese perché “sarebbe una catastrofe”. Un appello che appare destinato a cadere nel vuoto.