Sembra proprio che il mondo libero, quello occidentale, sia molto meno libero di quanto si pensasse. A lasciarlo intendere in modo molto chiaro è quanto accaduto al colosso tecnologico statunitense Google, che ha dato il benservito a 28 dipendenti rei di aver preso parte ad uno sciopero di 10 ore negli uffici dell’azienda a New York e Sunnyvale, in California, contro la cooperazione del governo americano e dell’azienda con le forze armate israeliane.
Una protesta pacifica, in cui i lavoratori hanno indossato la keffiah e intonato cori per chiedere lo stop alla cooperazione con il Paese guidato da Benjamin Netanyahu, che evidentemente ha dato non poco fastidio ai manager di Google.
Vietato protestare contro Israele, Google silura 28 dipendenti
C’è da chiedersi dove sia finita la libertà negli Usa e nell’intero Occidente, dove, a pensar male, non si può esprimere un parere che vada contro il governo di turno. Proprio quello che è successo a Google, dove i manifestanti non si erano lanciati in chissà quale protesta, ma si erano limitati a chiedere all’azienda di interrompere la partecipazione al Progetto Nimbus, che ha assicurato all’azienda di Mountain View – e ad altre aziende della big tech – la bellezza di 1,2 miliardi di dollari versati dal governo israeliano per mettere le mani sui servizi legati al cloud computing.
Una transazione che in tempi di pace sarebbe stata normale, ma che con la guerra nella Striscia di Gaza è diventata critica, sollevando dubbi e perplessità nei dipendenti che temono, come da loro stessi spiegato, che alcune tecnologie potrebbero venire impiegate per la repressione dei palestinesi e più in generale per la conduzione della guerra. Qualcuno potrebbe obiettare che i timori dei lavoratori siano campati in aria, ma così non è.
Pochi giorni fa, il Time – seguito a ruota da numerosi media internazionali – ha pubblicato particolari inediti del Progetto Nimbus che hanno destato clamore. In particolare l’accordo, secondo i documenti pubblicati dai quotidiani statunitensi, prevederebbe l’erogazione di servizi all’esercito e all’Intelligence dello Stato ebraico. Ma non è tutto. Secondo The Intercept, il Progetto Nimbus prevederebbe anche la fornitura diretta di know-how e tecnologie di intelligenza artificiale da usare sul campo di combattimento.
Botta e risposta tra gli attivisti e Google
“Non siamo venuti a Google per lavorare su una tecnologia che uccide. Impegnandosi con questo contratto, la leadership dell’azienda ha tradito la nostra fiducia, i nostri principi sull’intelligenza artificiale e la nostra umanità”, ha scritto su X (l’ex Twitter) Billy Van Der Laar, un ingegnere informatico, in occasione della protesta.
Accuse a cui l’azienda non ha controbattuto, preferendo limitarsi a spiegare le motivazioni del allontanamento dall’azienda dei 28 manifestanti ribelli. Stando a quanto dichiarato dal portavoce di Google, Bailey Tomson, la decisione è stata resa necessaria dal fatto che gli ormai ex dipendenti avrebbero “impedito fisicamente il lavoro di altri dipendenti e di accedere alle nostre strutture” in palese “violazione delle nostre politiche”. Per questo i dipendenti “sono stati messi in congedo amministrativo e il loro accesso ai nostri sistemi è stato interrotto”.
Una ricostruzione che è stata seccamente smentita dal gruppo No Tech for Apartheid, che ha guidato le proteste contro l’accordo stipulato dall’azienda californiana con il governo israeliano. Secondo loro sarebbe del tutto falso che gli ormai ex dipendenti avrebbero bloccato i colleghi e per questo, in modo molto netto, spiegano che i licenziamenti sono in realtà un “atto palese di ritorsione” contro chi la pensa diversamente dall’establishment.