Archiviate le primarie a seguito dello scandalo in Puglia e saltata la possibilità di trovare un candidato unitario, il centrosinistra ha ufficializzato che si presenterà diviso alle prossime comunali di Bari. Infatti è tramontata definitivamente l’ipotesi di una ricucitura tra Michele Laforgia, sostenuto dal Movimento 5 Stelle, e Vito Leccese, appoggiato dal Pd insieme ai Verdi e ad Azione.
Ad ufficializzarlo gli stessi candidati che hanno confermato “la volontà di restare entrambi in campo in vista dell’appuntamento elettorale dell’8 e 9 giugno”.
Comunali di Bari, al primo turno M5S e Pd andranno divisi
Una spaccatura che, però, non comporterà la fine del campo largo perché, spiegano congiuntamente Laforgia e Leccese, “anche se andremo divisi al primo turno, vogliamo ribadire con forza che siamo entrambi dalla stessa parte, alternativa a una destra arrogante”, assicurando “sostegno reciproco in caso di ballottaggio e, qualora uno fra noi venga eletto sindaco, la disponibilità a costruire una squadra di governo che valorizzi le esperienze e le competenze di entrambi gli schieramenti”.
Gli stessi precisano che “il dialogo fra noi non si è mai interrotto. Entrambi abbiamo accettato la candidatura a sindaco allo scopo non di dividere, ma di unire le forze progressiste” come dimostrato dal fatto che “abbiamo cercato una soluzione che potesse fare sintesi delle diverse esigenze dei partiti, dei movimenti e delle associazioni che compongono il fronte progressista” ma “non è stato possibile e occorre prenderne atto”. Detto questo i due candidati fanno sapere che al ballottaggio.
Al ballottaggio delle comunali di Bari si ricomporrò il campo largo
Insomma M5S e Pd, al contrario di quanto scrivono i media mainstream, non si faranno la guerra. Certo i rapporti tra Giuseppe Conte e Elly Schlein si sono notevolmente raffreddati ma la frattura sembra destinata a ricomporsi anche perché i due maggiori partiti di opposizione continuano a collaborare in molte regioni, a partire dalla Basilicata dove sostengono all’unisono il dem Piero Marrese.
Una cooperazione che sarebbe andata avanti anche in Puglia se non fossero deflagrate tre inchieste che hanno causato uno tsunami nella giunta guidata dal governatore Michele Emiliano (estraneo ai fatti, ndr), con il Movimento 5 Stelle che si è visto costretto a ritirare i propri assessori. La prima indagine è quella che nei giorni scorsi ha portato a 130 arresti per voto di scambio politico-mafioso alle elezioni del 2019, tra cui l’ex consigliera comunale di maggioranza Carmen Lorusso e suo marito Giacomo Olivieri; la seconda è quella che ha portato alle dimissioni dell’assessora regionale di Trasporti, Anita Maurodinoia (ex Pd), su cui pende l’accusa di corruzione elettorale; la terza, invece, è quella costata gli arresti domiciliari per corruzione per l’ex assessore della giunta Emiliano, Alfonso Pisicchio.
Le ragioni della spaccatura
Tutte inchieste per le quali il presidente di Regione ha annunciato di aver accolto le richieste del Pd al fine di imprimere “un netto cambio di fase attraverso l’indicazione di altissime figure che verranno proposte dai partiti e che rappresentino, rafforzandola, la storia dell’amministrazione regionale da sempre basata sull’ossequio sostanziale e formale della legalità, della lotta alla mafia e del contrasto ad ogni strumentalizzazione della politica”.
Poi Emiliano ha teso la mano ai pentastellati spiegando che “la maggioranza ha ritenuto di poter accogliere le richieste del M5S con riferimento alla sottoscrizione di un patto operativo che rafforzi i presidi di legalità e in particolare con la costituzione, sul modello del Nirs già esistente per la sanità, di un organismo di vigilanza analogo che operi anche agli altri settori della amministrazione, con la nomina di un coordinatore e di ispettori che setaccino ogni atto e ogni notizia suscettibile di accertamento di irregolarità”. “In questo modo mi auguro che possa essere ricostituita la maggioranza progressista in Regione Puglia che ha ben operato in questi anni”, conclude Emiliano.