Dopo quasi sette mesi di combattimenti e infinite richieste della comunità internazionale per salvaguardare i cittadini e i volontari, la Striscia di Gaza è stata sconvolta dall’ennesimo ‘incidente’ che sconvolge tutto il Medio Oriente. “Ieri un veicolo dell’Unicef che aspettava di entrare nel nord di Gaza è stato colpito da proiettili veri” è quanto scrive su X (l’ex Twitter, ndr) l’agenzia Onu per l’Infanzia.
Ad esploderli, come ricostruito dal portavoce Tess Ingram che era presente al momento del fatto, sarebbe stato l’esercito israeliano che avrebbe aperto il fuoco per tre volte, fortunatamente senza causare vittime, mentre i dipendenti dell’Agenzia si trovavano in un checkpoint e attendevano il via libera per entrare a Gaza. Insomma operazioni di routine dove, però, si è rischiato grosso perché i militari di Tel Aviv avrebbero sparato “colpi di arma da fuoco” nei pressi del punto di accesso alla Striscia, scatenando il panico dei “civili che poi sono fuggiti nella direzione opposta”.
Il racconto che infiamma il Medio Oriente
Alcuni proiettili, secondo Ingram, ben tre, avrebbero centrato l’automobile dell’Unicef su cui viaggiava che, per pura fortuna, non hanno causato una strage. Il portavoce ha poi fatto notare che “purtroppo, gli operatori umanitari continuano ad affrontare rischi nel fornire aiuti salvavita”, malgrado le continue pressioni della comunità internazionale all’indirizzo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, e davanti a questa situazione “a meno che gli operatori umanitari non siano protetti” sarà pressoché impossibile consegnare “gli aiuti umanitari alle persone bisognose”.
Ma non è tutto perché Ingram ha rivelato che “la missione di consegna di aiuti umanitari era stata autorizzata e le autorità israeliane sapevano del convoglio, che dopo la sparatoria è stato costretto a tornare a Rafah” con il risultato che “quelle forniture salvavita non sono mai arrivate ai bambini nel nord di Gaza”.
La lunga scia di sangue in Medio Oriente
Difficile dar torto all’Unicef visto che gli ‘incidenti’ sono diventati una costante. Il 2 aprile un blitz delle forze dello Stato ebraico aveva colpito un convoglio della ong World Central Kitchen, causando la morte di sette dipendenti. Un caso che ha indignato il mondo, suscitando le proteste perfino del presidente americano Joe Biden, a cui aveva risposto Netanyahu parlando di “un errore” per poi aggiungere, con estrema freddezza, che “sono cose che capitano durante una guerra”.
Che gli incidenti possano verificarsi nel corso dei combattimenti è vero, esattamente com’è vero che per l’Onu e Biden “il governo di Tel Aviv non sta facendo abbastanza per evitare morti inutili e per garantire l’incolumità dei volontari”. Quello che stupisce, però, è la frequenza con cui si susseguono eventi simili. Una strage continua che secondo quanto riferito dieci giorni fa dall’alto funzionario delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari a Gaza, Jamie Mc Goldrick, ha già causato la morte di “almeno 196 operatori umanitari dall’ottobre 2023 al 20 marzo”.
“Si tratta di quasi tre volte il bilancio delle vittime registrato in un singolo conflitto in un anno”, ha aggiunto. Tra i casi più gravi la strage a Gaza City del 29 febbraio quando gli israeliani avevano sparato sui palestinesi accalcati in attesa degli aiuti umanitari, causando la morte di oltre 100 civili e il ferimento di almeno 760 disperati. Per non parlare dei numerosi raid sui centri profughi e sugli ospedali della Striscia che hanno causato un numero incalcolabile di vittime.