Ora è tutto più chiaro. Ora, finalmente, si capisce cosa intendesse dire il 3 aprile il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, quando ha aveva annunciato che il Documento di economia e finanza avrebbe avuto “una conformazione leggermente diversa rispetto al passato, sicuramente più leggera” e “un contenuto assai asciutto”. È a quanto alla vigilia del Consiglio dei ministri, lunedì, ha fatto riferimento seppur in maniera, come al suo solito, sibillina. Il Def, ha spiegato il numero uno di via XX Settembre, “risponde alla situazione di cambiamento delle regole europee. Non ci sono ancora le istruzioni della nuova governance, quando ci saranno – abbiamo deciso a livello europeo intorno all’estate – faremo il piano strutturale come richiesto da queste nuove regolamentazioni che abbiamo assunto”.
Alla vigilia della presentazione del Def Giorgetti lascia intendere che aspetterà le nuove regole europee per entrare nei dettagli
Ecco qui la conferma, secondo i timori dei più, che oggi Giorgetti e la premier Giorgia Meloni – salvo colpi di scena – presenteranno a Palazzo Chigi un Def che sarà un guscio vuoto. Vale a dire un documento col solo quadro tendenziale, omettendo quello programmatico, e dunque rinviando solo all’estate, dopo le elezioni europee e dopo l’attivazione da parte della Commissione europea a giugno della procedura per deficit eccessivo (oltre il 7 per cento nel 2023), i target e gli obiettivi di politica economica dei prossimi anni. Quanto fece cioè Mario Draghi nella Nadef dell’autunno 2022, solo che allora si trattava di un esecutivo dimissionario che non voleva assumersi, giustamente, la responsabilità politica della manovra successiva. Giorgetti e Meloni in questa maniera, come ha lasciato intendere il ministro dell’Economia, sono pronti a utilizzare la scusa che Bruxelles non ha ancora inviato loro le linee guida relativamente al nuovo Patto di stabilità e dunque non sono nelle condizioni di mettere nero su bianco gli obiettivi da raggiungere con la prossima manovra d’autunno.
Casse vuote
La verità, invece, è che Giorgetti e Meloni – complici di una crescita modestissima, della battuta d’arresto della produzione industriale, di una domanda interna ferma a causa dei bassi salari e dell’erosione del potere d’acquisto – non hanno un euro in cassa. Tenendoci bassi, solo per riconfermare la decontribuzione per le mamme con figli, il taglio del cuneo fiscale e l’Irpef a tre aliquote, ci vogliono oltre venti miliardi di euro. Per non parlare delle voci pensioni e sanità da finanziare. Tanto che Meloni e Giorgetti, secondo le indiscrezioni, sperano di ottenere flessibilità dalla nuova Commissione europea per poter utilizzare ancora una volta la leva dell’extra-deficit. Difficile, però, che con una procedura per deficit eccessivo in corso e le nuove regole del Patto di stabilità, Bruxelles gliela possa concedere. L’alternativa è, ahinoi, una manovra di lacrime e sangue con tagli alla spesa pubblica e nuove tasse.
Crescita modesta nel Documento di economia e finanza
Ad ogni modo, in attesa di capire che pesci pigliare, la premiata ditta Meloni -Giorgetti ci presenterà solo il quadro tendenziale con numeri non distanti dalla Nadef di fine settembre. Quando la crescita per quest’anno era fissata all’1,2 – e ora dovrebbe essere rivista all’uno per cento – mentre l’indebitamento netto del 2024 era fissato al 4,3% del Pil e il debito al 140,1%. Vale la pena ricordare che la crescita all’uno per cento è perfino ottimistica considerando che i grandi previsori, dalla Commissione all’Fmi, la fissano allo 0,7%. E Bankitalia addirittura si ferma allo 0,6. Di questa crescita modesta dovrebbe rispondere il governo e non delle balle sul Superbonus.