Immagina di riuscire a comprare la seconda agenzia di stampa compartecipata al 35% dal Ministero all’Economia mentre sei parlamentare di maggioranza senza scucire un euro anzi addirittura guadagnandoci. L’imprenditore, editore e deputato della Lega Antonio Angelucci potrebbe comprarsi l’Agi a cifre molto diverse rispetto a quelle ventilate nelle scorse settimane. Non è un caso che l’operazione inizialmente venisse raccontata come un affare da 40 milioni di euro che poi sono diventati 30, poi 20 per poi abbassarsi ancora. L’offerta reale sarebbe avanzata da Angelucci all’Eni si aggira sui 7 milioni ma quei soldi – anzi qualcosa in più – sono già guadagnati.
L’imprenditore, editore e deputato della Lega Antonio Angelucci potrebbe comprarsi l’Agi a cifre molto diverse rispetto a quelle ventilate nelle scorse settimane
Come? Nella trattativa rientrerebbero 4,5 milioni di pubblicità che l’Eni spalmerebbe nei prossimi tre anni su tutti i giornali di Angelucci (Libero, Il Tempo e Il Giornale) mentre 3.041.152 euro sono garantiti dal bando del governo per il 2024. La somma è fin troppo semplice, balla addirittura mezzo milioni di euro in più. Ma i bonus che Eni riconoscerebbe all’editore laziale non finiscono qui. Per avere i tre milioni e spicci del bando sull’editoria le agenzia devono avere almeno 50+1 giornalisti. Oggi Agi ne conta 72 oltre ai 19 poligrafici che in caso di successo dell’operazione rimarrebbero in carico a Eni. Quattordici giornalisti a oggi hanno aderito alla procedura di isopensione che il governo Meloni ha prorogato con possibilità di pensionamento anticipato fino a 7 anni nelle aziende interessate da eccedenze di personale, fino al 2026. Se tutti e quattordici i giornalisti usciranno L’Eni non solo regalerà Agi a Angelucci e si farà carico dei poligrafici ma pagherà anche le pensioni di alcuni suoi dipendenti.
Per il Gruppo Angelucci sarebbe un ulteriore passo verso la costruzione del polo editoriale che il patron ha in mente. Dopo i quotidiani e l’agenzia di stampa sarebbe pronto a sferrare per Radio Capital per chiudere il cerchio. Sarebbero invece false le voci che indicano un suo interessamento per il gruppo Quotidiano Nazionale.
Meloni spera di sfruttare l’agenzia di stampa per il referendum come già fece Renzi
A Palazzo Chigi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avrebbe da tempo dato il via libera all’operazione ripetendo l’errore che da premier fece Matteo Renzi. Meloni sa bene che in tempi di referendum avere un’agenzia di stampa “amica” significa indirettamente avere la possibilità di mettere le mani su quella miriade di quotidiani locali che molto spesso affidano alle agenzie la cronaca politica. Dalle parti di Fratelli d’Italia sono convinti che un lancio di agenzia ben confezionato possa finire senza troppo sforzo su migliaia di piccoli giornali praticamente copincollato. Nel 2016 Renzi pensò di compiere l’operazione con Riccardo Luna direttore proprio all’Agi. Il risultato però non fu quello previsto.
A coordinare l’operazione in veste di facilitatore c’è ovviamente il direttore di Libero, nonché ex direttore dell’Agi, nonché ex portavoce di Giorgia Meloni. Mario Sechi avrebbe oliato i rapporti tra Giampaolo Angelucci (figlio del deputato Antonio) e quel Claudio Granata che all’Eni è uomo ombra di De Scalzi per le operazioni più difficili. Nonostante le smentite i ben informati confermano che alla cena prima di Pasqua Giampaolo Angelucci con il padre Antonio, la direttrice di Agi Rita Lofano e e Granata per l’Eni avrebbero stretto l’accordo di firmare il compromesso dopo la due diligence che è prevista per oggi. Rimangono sul tavolo due problemi: l’opinione pubblica con i partiti che all’Eni hanno più peso di quello che sembra e una società pubblica al 35% partecipata dal Mef che vende un importante ramo d’azienda con un trattativa privata.
Nei corridoi dell’Agi Mario Sechi quando era direttore ripeteva ai giornalisti “l’Eni deve vendere, vi deve vendere”. Mai come ora ci sono vicini.