Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha confermato che “entro i primi 10 giorni di aprile” verrà approvato il Def, documento di economia e finanza. Il giorno buono potrebbe essere il 9, quando è previsto il Consiglio dei ministri. Oggi nel corso di un’audizione alla Camera, il titolare di via XX Settembre si è concesso il lusso di fare dell’ironia. Nel Def “ci saranno numeri interessanti”, ha detto. E incalzato su quelli che verranno messi nero su bianco su pil, deficit e debito ha detto di voler concedere “un po’ di suspense”.
Ma tra le righe ha fatto capire che ci sarà da stringere la cinghia. Il livello del debito pubblico italiano “per evidenti ragioni di sostenibilità, richiede la massima ponderazione delle risorse da destinare alle singole politiche pubbliche e, oramai, l’innegabile necessità di misurare e monitorare gli effettivi benefici di ogni singola spesa”.
Anche perché appare ormai scontato che “la Commissione europea raccomanderà al Consiglio di aprire una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti del nostro come di diversi altri Paesi”. Avendo lo scorso anno il deficit superato l’asticella del 7%. E se ci sarà necessità di una manovrina da varare dopo le elezioni di giugno, il grande spauracchio rimane comunque la manovra di autunno.
Def: la copertà è corta, cortissima
Le risorse sono poche e non sarà più possibile fare affidamento alla leva dell’extra-deficit per finanziare le misure. E questo per diversi motivi. Uno per non appesantire il debito, come ha spiegato lo stesso Giorgetti, un altro perché le nuove regole del Patto di stabilità lo impediscono. Patto verso cui Giorgetti ora manifesta tutto il suo disappunto. Ma che, nato dal compromesso tra Francia e Germania, quando è stato varato l’Italia aveva perfino detto di aver partecipato attivamente alla sua formulazione.
Il risultato raggiunto sul nuovo Patto Ue è “complesso, talvolta confuso, che ha aggiunto e combinato e non certo risolto una serie di contraddizioni per arrivare ad un compromesso”, ha detto Giorgetti. Inoltre il nuovo Patto, secondo istituti accreditati, ci chiederà una correzione di 12-13 miliardi di euro, da raggiungere o con tagli alla spesa pubblica o con tasse. E allora nel nuovo Def, in vista della manovra autunnale, bisognerà fare i conti con quello che si ha. A partire da una crescita più che modesta.
I numeri del Def nel dettaglio
Nel 2025 – secondo le anticipazioni del Sole 24 Ore – il Pil crescerà dell’1,2%, meglio dell’1% atteso quest’anno. Un dato in linea con quello delle ultime previsioni della Commissione europea e che comunque ci colloca assieme alla Germania all’ultimo posto il prossimo anno. Il disavanzo nel 2024 dovrebbe rimanere sotto al 4,5% del Pil (vicino al 4,3% stimato a ottobre) e molto sotto al 7,2% al momento indicato per il 2023, per scendere ulteriormente sotto il 4% l’anno prossimo .
Per il debito il valore che verrà scritto non dovrebbe superare il 140% (140,1% la soglia fissata nella Nadef). Con una crescita all’uno per cento – il dato è comunque superiore a quello dei grandi previsori, basti pensare che per Bankitalia il Pil si fermerà allo 0,6% – c’è poco da far festa. Tra la conferma del taglio del cuneo fiscale, Irpef a tre aliquote, riduzione contributiva per le mamme con figli, il rifinanziamento delle voci della sanità e delle pensioni, ci vogliono oltre venti miliardi di euro. Come al solito il governo potrà scaricare le responsabilità su misure non sue. Vedi il Superbonus. Per Giorgetti “appare oramai necessario sostituire alcuni istituti ampiamente utilizzati, quali i crediti di imposta, con tipologie di intervento effettivamente controllabili, come ad esempio contributi”.
Destinazione Europa
Il ministro annuncia un Def “asciutto” che, in base alle istruzioni della Commissione, avrà probabilmente una conformazione diversa rispetto al passato, “sicuramente più leggera”. Ma quello che conta sono appunto i numeri e le indiscrezioni ci parlano di un documento col freno a mano tirato. Infine Giorgetti ribadisce la sua indisponibilità ad andare in Europa, a fare magari il commissario: “Chi mi conosce sa che 5 anni fa manifestai la mia indisponibilità”. Ma sa anche che non dipende da lui. Infatti aggiunge: “Dopodiché i ministri ci sono, cambiano, che ne so io”.