Dopo il raid israeliano in Siria che ha causato la morte di un alto militare di Teheran, l’Iran annuncia rappresaglie contro Israele. Lorenzo Maria Ricci, esperto di geopolitica e giornalista di Domino, secondo lei quant’è credibile questa minaccia?
“In quest’ultimo periodo stiamo assistendo a una lenta escalation del conflitto in Medio Oriente. Su quanto sia credibile questa minaccia, faccio notare che soltanto ieri è stato intercettato un missile dalla contraerea israeliana partito dalla Siria. Sicuramente si assisterà a qualche forma di rappresaglia, probabilmente attraverso le varie organizzazioni affiliate a diverso titolo e grado con i Guardiani della Rivoluzione. Mi riferisco alle forze che operano in quella che viene definita la mezzaluna sciita e che da tempo conducono attacchi verso installazioni americane nell’area. Queste stesse milizie che ora potrebbero concentrare i loro attacchi sulle strutture legate all’esercito israeliano”.
Tra Israele e Libano i rapporti si fanno sempre più tesi. Qual è la situazione al confine tra i due Stati?
“Al di là delle dichiarazioni, Hezbollah non sembra interessato ad allargare il conflitto. Invece in Israele, con la situazione a Gaza che viene ritenuta relativamente sotto controllo, da qualche tempo si parla con insistenza della necessità di aprire un secondo fronte con il Libano e questo dato non può che preoccupare”.
Fanno discutere anche gli attacchi di Tel Aviv a Gaza, con l’ultimo blitz che ha causato la morte di 7 operatori di una ong, scatenando le proteste del mondo arabo. Di questo passo non teme che il conflitto si espanda, coinvolgendo anche i Paesi vicini a Israele?
“Per il momento le varie nazioni arabe si sono fermate a rimostranze, anche molto decise, nei confronti di Israele ma neanche nei momenti più duri del conflitto la situazione è degenerata. Questo non significa che le cose non possano cambiare, specie alla luce delle continue provocazioni da entrambe le parti e dall’annunciata offensiva israeliana a Rafah che potrebbero mettere a dura prova i nervi di tutti. Insomma il rischio di un’escalation, per quanto difficile che si verifichi, resta comunque possibile”.
Sulla crisi mediorientale l’Europa continua a fare troppo poco mentre gli Usa mantengono una posizione ambigua. Come mai l’occidente sta avendo tanta difficoltà a interpretare un ruolo di mediazione?
“Gli Stati Uniti al momento hanno troppi fronti aperti e per quanto pubblicamente stiano facendo pressioni sull’esecutivo Netanyahu affinché desista dall’offensiva a Rafah, non hanno sospeso le forniture di armi a Israele. Questo perché non possono permettersi di mollare il loro storico alleato e baluardo nell’area che gli consente di tenere a freno le altre potenze dell’area, a partire dall’Iran e dalla Turchia che è sempre più presente nella regione. Dal canto suo l’Unione europea nel suo insieme ha difficoltà nell’apportare una strategia unitaria per via degli interessi, talvolta anche divergenti, dei paesi che la compongono. Per questo continua ad avere difficoltà nel proporsi come un attore unico e il suo potere contrattuale resta ancora molto limitato”.
Preoccupa anche il conflitto in Ucraina dove a far rumore è stato l’attentato a Mosca da parte dei jihadisti ma che il Cremlino continua ad addebitare all’Ucraina. Secondo lei è possibile che i terroristi siano stati aiutati dagli 007 di Kiev oppure è solo propaganda?
“Non ci sono prove del coinvolgimento dell’Intelligence ucraina. Pensi che al momento l’unica cosa che i russi spacciano come prova è il fatto che quattro jihadisti sono stati arrestati nell’Oblast di Brjansk che è confinante con l’Ucraina. Troppo poco per lanciare simili accuse. A mio avviso si tratta di dichiarazioni fatte a uso propagandistico interno così da giustificare una nuova mobilitazione parziale che guarda caso è stata annunciata due giorni fa”.
Sul campo la Russia ha ripreso ad avanzare, seppur lentamente, complice anche il sempre minore sostegno dell’occidente all’Ucraina. Non crede che questo sia il momento giusto per sedersi al tavolo delle trattative di pace?
“Ci sono stati segnali che vanno in questa direzione o almeno verso la ripresa di qualche forma di dialogo tra Usa e Russia. Guardando a Washington non si può che leggere positivamente il fatto che avevano allertato Mosca sulla possibilità di attentati come anche il fatto che la Nuland è stata messa in secondo piano nella gestione del dossier ucraino. Segnali che sono arrivati anche da Putin, con l’intervista al giornalista americano Tucker Carlson, in cui ha lanciato messaggi distensivi dicendo che è Pechino il principale problema dell’occidente e non la Russia. Detto questo si tratta di una trattativa estremamente complessa anche perché a Kiev è stata fatta una narrativa secondo cui bisogna recuperare tutti i territori e questa viene portata avanti da importanti esponenti del governo”.
Macron ha parlato del possibile invio di truppe Nato in Ucraina. Secondo lei stiamo andando verso un’escalation incontrollata del conflitto?
“Onestamente vedo improbabile un’ulteriore escalation del conflitto anche se questa è sempre possibile. Anzi a mio avviso quella di Macron è una mossa politica molto astuta perché il presidente francese ha capito che gli Stati Uniti vogliono disimpegnarsi dal teatro ucraino o comunque vogliono appaltarlo a qualche Paese Ue. Per questo ha voluto mostrarsi come alleato affidabile degli Stati Uniti, tra l’altro riuscendo a strappare a Putin la disponibilità ad intavolare colloqui di pace con la Francia in veste di mediatore”.
Ma qual è la situazione sul campo e come potrebbe evolvere il conflitto ucraino?
“Sul campo stiamo assistendo a una lenta avanzata russa anche se da tempo sul tutto il fronte non si segnalano grandi cambiamenti. Il punto è che in una guerra di attrito, come quella che si sta combattendo in Ucraina, è probabile che alla lunga possa prevalere la Russia. Un esito che viene favorito anche dal fatto che l’occidente sta facendo sempre più fatica a fornire armamenti a Kiev per questioni puramente industriali”.