Una crescita dello zero virgola, il calo inarrestabile della produzione industriale, l’aumento della povertà. La lotta all’evasione ferma al palo, le picconate date al Reddito di cittadinanza, il non avere messo in campo politiche per contrastare l’inflazione e la progressiva perdita del potere d’acquisto dei salari, l’occupazione che cresce sì ma con buste paga da fame, l’ostinazione a contrastare l’introduzione di un salario minimo legale: le politiche delle destre al governo presentano il conto. Ma anche davanti all’evidenza di questi dati l’accoppiata della premier Giorgia Meloni e del suo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, continua il gioco dello scaricabarile e ha individuato ormai da tempo il capro espiatorio. Ovvero il Superbonus, che ha fatto da volano all’economia, ma che ha la sola colpa di essere figlio del M5S.
La cancellazione del Superbonus 110% colpisce anche i terremotati. E pure Forza Italia annuncia modifiche
Esattamente come lo sono il Reddito di cittadinanza e il decreto Dignità con cui i pentastellati hanno cercato di mettere un freno alla crescita dei contratti precari. La verità è che, come ha argomentato il senatore e vicepresidente M5S, Mario Turco, Giorgetti ha utilizzato ancora una volta l’ennesimo decreto sul Superbonus, con cui ha definitivamente eliminato ogni tipo di sconto in fattura e cessione del credito per tutte le tipologie che ancora lo prevedevano (non solo per il 110%), per “coprire i suoi disastri contabili ed economici”. Con la solita scusa che il Superbonus gli ha causato il mal di pancia, ovvero l’impennata del deficit dello scorso anno. Laddove è responsabilità di Giorgetti, e di tutto il governo, l’aver azzerato la crescita del 2023, contribuendo a spingere verso l’alto il deficit, ed è loro esclusiva responsabilità aver imposto all’Istat la classificazione contabile dei crediti d’imposta da Superbonus come ‘pagabili’, cioè come se fossero tutti compensabili con le tasse a prescindere dalle compensazioni effettive. Il mal di pancia però non ce l’ha Giorgetti, la verità è che è il ministro ad averlo fatto venire a tutti.
Il giorno dopo del varo del decreto che ammazza definitivamente il Superbonus, portato a sorpresa e quasi verrebbe da dire a tradimento in Consiglio dei ministri, c’è stata una levata di scudi non solo dalle associazioni di settore e dai partiti di opposizione ma anche da parte degli amministratori di destra. Lo stop allo sconto in fattura e alle cessioni dei crediti vale anche per le case popolari (Iacp), le cooperative di abitazioni, onlus, aree terremotate o alluvionate, seppur con delle eccezioni per gli iter già avviati. “Quella del Mef è una preordinata azione di ‘pulizia etnica’ verso chi ha perso tutto con il terremoto”, ha detto Federcontribuenti. Mantenere gli incentivi previsti per i bonus edilizi nelle aree colpite dai terremoti per non compromettere i processi di rinascita in atto, è quanto chiedono il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, e il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, entrambi di FdI. Consorzio per l’Italia, l’associazione che raggruppa le più importanti aziende italiane che producono ascensori e montacarichi, sostengono che a pagare il prezzo della cancellazione delle agevolazioni saranno anche e drammaticamente i disabili.
Forti lamentele arrivano dalle imprese, dalla Cna alla Confapi fino all’Ance
Per non parlare delle lamentele delle imprese, dalla Cna alla Confapi fino all’Ance. Tanto che FI si è precipitata a dire che il decreto “in Parlamento si potrà migliorare”. Parlavamo del disastro economico del Governo Meloni. Secondo Turco è certificato dall’azzeramento della crescita del 2023, dai 12 mesi consecutivi di crollo della produzione industriale, dal calo dei consumi e del potere d’acquisto delle famiglie, dall’aumento delle persone in povertà assoluta, dagli spietati tagli a pensioni e sanità, dall’incapacità di mettere a terra il Pnrr, dalla mancata tassazione sugli extraprofitti delle banche per aiutare le tante famiglie in difficoltà a pagare le rate dei mutui. E a tutto questo aggiungeremmo l’assenza di una politica industriale che si concentri sui settori considerati strategici come la crisi del settore dell’automotive conferma.
Il governo alla canna del gas intanto pensa a fare cassa svendendo i gioielli di famiglia
E il governo alla canna del gas pensa a fare cassa svendendo i gioielli di famiglia. Il ministero dell’Economia, dopo aver ceduto con una vendita-lampo un’altra tranche del Montepaschi (12,5%), sta mettendo in cantiere la vendita o meglio la svendita di Poste. Attualmente lo Stato controlla complessivamente circa il 65% della società, di cui il 29,26% direttamente con il Mef e il 35% indirettamente attraverso Cassa depositi e prestiti. L’alienazione della quota dello Stato potrà avvenire “anche in più fasi, significa che nelle prime fasi il governo potrebbe anche fermarsi al 51%, perché riteniamo che questa sia un’asticella che riteniamo in questo momento soddisfacente rispetto al percorso” indicato, ha detto Giorgetti, lasciando intendere che poi verrà messa sul mercato la restante quota.