Salvatore Casciaro, segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati, dopo le pagelle, arrivano i test psicoattitudinali per i magistrati. Perché siete così critici su questa misura?
“Per una serie di ragioni, tutte valide. La proposta del Governo muove da un falso presupposto, ossia che occorra misurare l’equilibrio dei magistrati con strumenti nuovi, non essendo adeguati quelli attuali. In realtà già adesso un magistrato è costantemente, ed efficacemente, valutato sul parametro dell’equilibrio lungo tutta la sua vita professionale. Da quanto si apprende, il Governo vorrebbe poi introdurre l’obbligo dei test per l’ingresso in magistratura in sede di approvazione del decreto legislativo delegato sull’ordinamento giudiziario. Ma, per dettato costituzionale, un decreto delegato deve uniformarsi ai principi e ai criteri direttivi della legge delega, che nel nostro caso nulla dispone a riguardo, il che lascia perplessi anche sullo strumento ipotizzato”.
Eppure tante professioni svolgono test psico-attitudinali. Ma voi siete gli unici contrari, siete restii a ogni cambiamento?
“Siamo per conservare ciò che va bene e per cambiare ciò che non funziona. Il concorso in magistratura, previsto nella Costituzione, risponde al principio della separazione dei poteri e garantisce l’indipendenza del magistrato che viene scelto con una selezione pubblica basata sul merito. È intuitivo che una previsione che subordina, dopo il superamento degli scritti e degli orali del concorso, l’ingresso in magistratura ad un test psicoattitudinale dai contorni vaghi e indefiniti condotto da un esperto indicato direttamente dal ministro della Giustizia potrebbe ledere le prerogative di indipendenza della funzione giudiziaria”.
Separazione delle carriere: è una delle ipotesi su cui è al lavoro il governo per la riforma della giustizia. Perché anche questa norma non vi convince?
“Perché l’attuale assetto costituzionale configura il pubblico ministero come organo di giustizia e ‘parte imparziale’, com’è stato efficacemente detto, il che assicura le migliori garanzie al cittadino che vede nel pm non un superpoliziotto ma colui che raccoglie le prove anche a discarico e, se valide, ne chiede l’assoluzione. Sarebbe un grave errore sottovalutare, poi, il rischio insito in una simile riforma. La separazione delle carriere reca con sé, e i suoi promotori non ne fanno mistero, l’eliminazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, garanzia di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, e la sua sostituzione con quello della discrezionalità: il che vuol dire un pm che perseguirà in futuro i reati uniformandosi ai dettami dalla politica, la quale ne controllerà l’operato. È d’altronde questa l’esperienza comparatistica degli altri Paesi dove vige la separazione delle carriere”.
Crede che da parte dell’esecutivo ci siano una sorta di atteggiamento pregiudiziale e di volontà punitiva nei confronti della magistratura?
“Affrontare, tra le tante priorità, il tema dei test psicoattitudinali dà un messaggio sbagliato all’opinione pubblica, quello che serva verificare l’equilibrio psichico dei magistrati. Un messaggio falso e oltretutto insidioso perché è in grado di incrinare la fiducia dei cittadini nella magistratura”.
Quali sono le vere priorità che andrebbero affrontate in una riforma della giustizia?
“La vera priorità, soprattutto in tempi di Pnrr, è far funzionare la giustizia. Ridurre quindi i tempi dei processi, preservando la qualità delle decisioni. Fornire risorse umane e materiali, per colmare le rilevanti scoperture degli organici del personale ad ogni livello, per far decollare nel civile e soprattutto nel penale il processo telematico, per riorganizzare le circoscrizioni giudiziarie secondo parametri di razionalità. Ma, ne converrà, sono cose complicate, ed è più facile forse occuparsi dei test psicoattitudinali”.