Potrebbe esserci una svolta nella vicenda Julian Assange. Il dipartimento di giustizia Usa sta valutando se consentire al 52enne, controverso fondatore di WikiLeaks, di dichiararsi colpevole dell’accusa meno grave di cattiva gestione di informazioni riservate, aprendo alla possibilità di un accordo che potrebbe portare al suo rilascio da una prigione britannica. A scriverlo il Wall Street Journal, citando persone a conoscenza del dossier.
Il fondatore di WikiLeaks Julian Assange pubblicò documenti militari top secret mettendo a rischio la sicurezza americana
Assange dal 2019 è detenuto in una prigione inglese, dopo che i pubblici ministeri statunitensi lo hanno accusato di cospirazione e spionaggio, per aver pubblicato migliaia di documenti militari riservati e dispacci diplomatici intorno al 2010. Attualmente sta combattendo una lunga battaglia legale con il governo del Regno Unito per evitare di essere estradato negli Stati Uniti. L’indiscrezione del Wsj arriva mentre si attende la decisione della Alta Corte di Londra se consentirgli un ultimo ricorso.
Da mesi sarebbero in corso trattative tra i procuratori americani e gli avvocati del fondatore di WikiLeaks
Secondo quanto raccontato da l’Ansa, il Wall Street Journal avrebbe rivelato discussioni preliminari che sarebbero in corso da mesi tra i procuratori americani e gli avvocati di Assange. Uno di loro, Barry Pollack, ha riferito però che non c’è ancora alcun via libera dal dipartimento di Giustizia. Nel frattempo Londra deve decidere se concedere al detenuto il diritto ad un ulteriore appello contro l’estradizione: in caso contrario, il governo americano avrà 28 giorni di tempo per prelevare Assange e portarlo in tribunale.
Nel 2010 il fondatore di WikiLeaks pubblicò un mare di documenti militari top secret e dispacci diplomatici riservati, dall’Afghanistan all’Iran e a Guantanamo, fino ai rapporti con gli alleati, mettendo gravemente in pericolo e in imbarazzo gli Usa. Da allora iniziò il suo calvario: l’immediata accusa di stupro in Svezia (poi caduta), il lungo asilo nell’ambasciata ecuadoregna a Londra dal 2012, l’arresto dopo che lo cacciarono dalla sede diplomatica per il suo comportamento controverso. Barack Obama decise di non incriminare Assange per non creare un precedente contro i media che pubblicano informazioni classificate. E commutò la pena di 35 anni, liberandola dopo sette, a Chelsea Manning, l’analista dell’esercito che passò il materiale a Wikileaks. Fu solo nel 2019 che il dipartimento di giustizia Usa annunciò l’incriminazione, sotto l’amministrazione di Donald Trump. Ma pare che prima l’allora presidente avesse offerto segretamente la grazia ad Assange ad una condizione: scagionare la Russia dai sospetti di aver partecipato alla divulgazione tramite Wikileaks delle email hackerate al partito democratico nel 2016.
Per Joe Biden è un problema in meno
Ora Joe Biden vorrebbe togliersi questa patata bollente in piena campagna elettorale, evitando i rischi di un processo che trasformi Assange in un martire del primo emendamento sulla libertà di parola e di stampa. Anche perché ben difficilmente potrebbe subire una condanna superiore ai cinque anni già trascorsi dietro le sbarre. La sua libertà sembra comunque ipotecata: se dovesse saltare il patteggiamento, può invocare l’impegno preso in passato dagli Usa a trasferirlo nella sua Australia per scontare eventuali pene. E il governo di Canberra, da sempre supportivo nei suoi confronti, potrebbe mitigare la sentenza e liberarlo subito. Insomma, a questo punto la vicenda è diventata squisitamente politica. E il fatto che si avvicinino anche le elezioni negli Stati Uniti certamente non agevolerà le prossime decisioni tra gli aspiranti inquilini della Casa Bianca.