di Angelo Perfetti e Maurizio Grosso
Il problema dell’Italia è il fatto che siamo in un Paese senza memoria. Ma non quella storica, che pure definisce al cultura di un popolo; qui parliamo anche di quella breve, che pesca appena dietro le nostre spalle. La vicenda dei conti dell’Inps, con tanto di affrettate dichiarazioni di Mastrapasqua tese a tranquillizzare, è esemplare. Nel florilegio di dichiarazioni, comunicati e prese di posizione, nessuno ricorda come appena poco più di un anno fa, primavera 2012, all’indomani della presentazione del decreto Salva Italia ci fu un’interrogazione al Senato, da parte di Elio Lannutti (Idv), il quale chiedeva al governo come intendesse “fronteggiare l’emergenza di bilancio dovuta al pesante debito dell’Inpdap che graverà sull’Inps”. Altro che nessun allarme conti. Guido Abbadessa, in qualità di presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, già all’epoca definiva la situazione “preoccupante, perché senza contromisure per far fronte allo squilibrio si andrà a intaccare il patrimonio dell’Inps”. A dirla tutta, tra quegli allarmi e quello contenuto nella lettera riservata, dai toni foschi, inviata da Mastrapasqua ai ministri Saccomanni (Economia) e Giovannini (Lavoro), non c’è molta differenza. Ma l’Italia è il Paese delle nebbie, delle smentite, delle precisazioni, del non detto. E così, puntuale come una cartella di Equitalia, è arrivata la marcia indietro. Eppure il problema è davvero sotto gli occhi di tutti, e da tempo: parte da quei 13 miliardi e 281 milioni di disavanzo che l’Inpdap ha portato in dote, diciamo così, al momento della fusione per la costituzione della Super Inps.
La retromarcia
‘’C’è piena e totale sostenibilità dei conti della previdenza e dell’Inps. Nessun allarme e nessun allarmismo’’. Così il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua. In commissione bicamerale, spiega, ‘’mi sono limitato a ribadire’’ che ‘’il disavanzo ereditato dall’ex Inpdap, non deve trasformarsi in un sintomo di incertezza sulla tenuta della previdenza italiana’’. Quindi, sottolinea, ‘’è solo un problema contabile, che non mina la certezza dei flussi finanziari. Nessun rischio né per oggi né per domani. Le pensioni sono e saranno regolarmente pagate’’. La rettifica arriva al termine di una giornata scandita dalla preoccupazione seguita alle sue stesse parole, pronunciate in audizione davanti alla commissione bicamerale di controllo degli enti di previdenza, sulle possibili conseguenze della piu’ grande operazione di razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico: occorre riconsiderare le modalita’ dell’accorpamento tra Inps, Inpdap e Enpals perché il deficit dell’ente di previdenza degli statali pesa come un macigno sul bilancio dell’Inps il cui il disavanzo patrimoniale ed economico puo’ dare così “segnali di non totale tranquillita’”.
Sindacati all’attacco
Il più duro è il leader della confederazione di via Lucullo, Luigi Angeletti che punta il dito contro lo Stato giudicato “il più grande evasore che non ha pagato i contributi dei lavoratori pubblici” per una cifra pari “a 8 miliardi di euro” e contro lo stesso Mastrapasqua che ha sollevato la questione “colpevolmente con due mesi di ritardo rispetto a noi”, aggiunge, ricordando come il sindacato abbia votato contro il bilancio dell’Inps. “Invece di lanciare solo allarmi Mastrapasqua ci dovrebbe dire cosa pensa di fare”, rilancia il segretario della Cgil, Susanna Camusso. Nel sottolineare che con l’integrazione degli istituti di previdenza voluta dal governo Monti i versamenti del pubblico sono ‘’molto parziali’’, il leader della Cgil evidenzia che ‘’questo non puo’ diventare un alibi per aumentare l’insicurezza del problema previdenziale”.
Infine il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni ricorda: “Noi avevamo detto con chiarezza che bisognava andarci con i piedi di piombo quando si è trattato di integrare Inps e Inpdap, senza farsi trascinare dal furore mediatico che sta rovinando il Paese”.
Dietro al flop della previdenza conflitti d’interessi e cattiva gestione
Va bene che il disavanzo da 10 miliardi di euro è il frutto avvelenato dell’eredità dell’Inpdap, l’ex istituto di previdenza dei dipendenti pubblici. Ma è altrettanento vero che, in questi anni, l’Inps non ha dato una gran prova di sé nella gestione dei suoi asset e delle sue risorse. Si pensi soltanto agli immobili, un patrimonio di circa 2 miliardi di euro che l’Istituto guidato da Antonio Mastrapasqua in questi anni non è stato in grado di sfruttare nelle maniera dovuta. Una situazione, tra le altre, sulla quale potrebbe aver pesato l’ombra del conflitto di interessi di Mastrapasqua, il presidente dalle decine di poltrone non proprio da manuale. E che dire dell’incredibile presa esercitata dai sindacati su alcuni gangli vitali dell’Inps? Si pensi al Civ, il cosiddetto Consiglio di indirizzo a vigilanza, infarcito di esponenti sindacali in ogni dove.
Il patrimonio immobiliare
Di sicuro uno degli aspetti sin qui fallimentari della gestione Inps riguarda il mattone dell’Istituto. Il quale, nel 2009, si è ritrovato in pancia la bellezza di 13 mila unità che il Tesoro non era riuscito a vendere all’epoca delle cartolarizzazioni tremontiane passate alla storia con i nomi di Scip1 e Scip2. Un paio di anni fa Mastrapasqua coltivò il sogno di affidare questi due miliardi di mattone, nel frattempo saliti a oltre 3 dopo la fusione con Inpdap ed Enpals, a uno o più fondi gestiti da una sgr da individuare a seguito di apposita gara. Il piano, che avrebbe dovuto valorizzare e quindi mettere a frutto gli asset, non è però mai decollato. Al punto che adesso l’Inps sta trattando il trasferimento del suo mattone a Invimit, la sgr costituita qualche tempo fa dal Tesoro per la valorizzazione complessiva del mattone statale. Chissà, forse questa sarà la volta buona, ma nel frattempo si è perso un mucchio di tempo senza riuscire a portare in cassa quei soldi che si sarebbero potuti rivelare molto utili a dare ossigeno ai conti dell’Inps.
Quante poltrone al presidente
E proprio la questione immobili, in una certa misura, può dare la dimensione del rischio di conflitto d’interessi che aleggia sempre intorno a Mastrapasqua e alle sue numerose poltrone. Poprio nel periodo in cui coltivava il suo piano immobiliare, Mastrapasqua si sistemò sullo scranno di presidente di Idea Fimit, uno dei più grossi operatori immobiliari controllato dal gruppo De Agostini e partecipato anche dall’Inps. Idea Fimit è una sgr, esattamente come quella che Mastrapasqua avrebbe dovuto individuare a seguito di gara. Una situazione che sarebbe stata come minimo imbarazzante. Senza contare che il presidente Inps, tra le tante cose, è ancora oggi vicepresidente di Equitalia, la società di riscossione dei tributi, e consigliere di amministrazione di società che con il Fisco possono trovarsi a fare i conti (si pensi a Italia Previdenza spa). Per non parlare dei ruoli come componente dei collegi sindacali (per esempio quello di Coni Servizi) e del fatto che Mastrapasqua risulta ancora oggi titolare dell’omonimo studio da commercialista. Il tutto per uno stipendio complessivo che si aggira intorno al milione di euro, tutto compreso. Come può agire “serenamente” un manager pubblico con tutte queste poltrone? E soprattutto, dove trova il tempo per risolvere problemi scottanti come quello di un disavanzo da 10 miliardi di euro? Si tratta di domande che pendono su Mastrapasqua ormai da cinque anni, ovvero da quando si è insediato al vertice dell’Inps nel 2008, nominato dal governo allora guidato da Silvio Berlusconi. La situazione, da allora, non è cambiata molto.
A tutto sindacato
All’interno dell’Istituto di previdenza le sigle sono presenti ovunque. Non solo, come detto, infarciscono il Civ. Il cui attuale presidente, Pietro Iocca, è un dirigente della Cisl. Ma i sindacati presidiano saldamente anche le decine dei Comitati amministratori di fondo e dei Comitati amministratori fondi di solidarietà. Una cuccagna sindacale che negli anni non ha manifestato inversioni di tendenza. Anzi.