Giorgia Meloni ha imposto ai suoi alleati Paolo Truzzu come candidato alla presidenza della Regione Sardegna. E ha perso. Marco Revelli, storico e politologo, come ne esce la premier?
“Ne esce a pezzi, giustamente. Quello di Giorgia Meloni è il chiaro esempio di una leader di una forza di nicchia che per un colpo di fortuna viene sbalzata in alto, si monta la testa e infila un errore dopo l’altro. I greci la chiamavano hỳbris che era una forma di presunzione che arrivava a far sentire gli uomini simili agli dei e a meritarsi la punizione divina. Meloni si è beccata la punizione del popolo. E se la merita tutta. È una sconfitta che si è confezionata in casa tutta da sola, pensando che stare a Palazzo Chigi le desse il diritto di decidere su tutti e per tutti. Dall’altra parte c’è il merito della candidata vincente. Alessandra Todde si è rivelata una splendida candidata, che inaspettatamente ha incontrato un consenso popolare ampio e che si è giocata molto bene la campagna elettorale grazie anche al comportamento ineccepibile dei leader dei due partiti che l’appoggiavano: Giuseppe Conte ed Elly Schlein. Che certamente hanno anche ricevuto e saputo sfruttare degli assist fantastici dagli avversari. E adesso sarà interessante vedere i contraccolpi all’interno della destra”.
Partirà la resa dei conti?
“Voleranno gli stracci: è inevitabile, un po’ perché i protagonisti, da Meloni a Salvini, sono caratteriali gravi. È difficile che si contengano. Forse riescono a dedicare dieci secondi a qualche dichiarazione d’ufficio ma covano rancori velenosi e profondi. Salvini per l’imposizione volgare, dobbiamo dirlo, della Meloni di un uomo che era pure un candidato sbagliato. E Meloni che coverà odio perché Salvini deve averle fatto uno sgambetto non da poco”.
Il voto disgiunto ha penalizzato Truzzu. A destra non sono mancati i franchi tiratori e i sospetti cadono sui leghisti.
“Vale a dire un voto kamikaze, che Salvini avrebbe fatto pur di impartire una lezione che, magari, pensa possa servire per le prossime occasioni a evitare sgrammaticature di quel genere”.
Ritornando sul risultato del centrosinistra, l’alleanza Pd-M5S può diventare strutturale?
“Abbiamo avuto un lampo e anche un bel tuono che dimostra che si può fare. Anche se dimostrare che si può fare non significa che si faccia. Ogni regione ha una propria vicenda e una propria storia. Difficilmente un’occasione ghiotta come quella sarda si potrà ripresentare, ma indubbiamente queste due forze politiche hanno potuto dimostrare in primo luogo a sé stesse che l’operazione se si vuole è possibile. Se la politica funzionasse con una sua qualche logica si potrebbe immaginare che si apra un orizzonte. Ma dato che non sempre funziona con logica non possiamo affermarlo con certezza. Che dire… Speriamo che una rondine faccia primavera”.
La corsa di Renato Soru è finita male.
“Quella di Soru e del suo primo sponsor Carlo Calenda è stata una figura orribile. Evidenzierei il carattere miserabile di questa operazione che trasuda meschinità. La scelta di candidarsi pur di danneggiare quello più vicino a sé o pur di vendicarsi per non essere stato il prescelto è stata un’operazione disgustosa sotto ogni punto di vista. Politico perché drammaticamente, e per fortuna, perdente. Ma anche da punto di vista comportamentale, esistenziale. Come fa un’aggregazione politica a covare tanto rancore è difficile capirlo”.
Todde ha detto che “la Sardegna ha risposto ai manganelli con le matite”.
“Una bella risposta questa. La polizia che infierisce sui ragazzini non ha aiutato dal punto di vista elettorale ma è soprattutto uno di quegli episodi che fanno scattare le molle elementari della umana indignazione. È difficile trovare un episodio così feroce, perché consumato su adolescenti. È stata davvero l’innocenza offesa da energumeni che si nascondono dietro la divisa. Una cosa davvero vergognosa. E capisco la commozione di Roberto Vecchioni. Chiunque sa cosa sia l’adolescenza ha la misura di quale perversione ci sia stata in un’operazione di questo tipo e quanto sia stato disgustoso il modo con cui i responsabili di questo abbiano tentato di giustificare tale azione con balle stellari. Come il fatto che i ragazzi marciassero verso obiettivi sensibili come la sinagoga e il cimitero ebraico. Che questo venga detto da gente che viene da una storia di antisemitismo vero mette i brividi. L’Msi di Giorgio Almirante covava un antisemitismo che arrivava fino alla difesa della razza. Che gente che propone di dedicare strade e piazze a uno come Almirante copra la propria violenza o la violenza dei propri poliziotti dicendo che volevano difendere le sinagoghe vuol dire che siamo arrivati al fondo della notte”.