Se ti impunti per sostituire il peggior governatore d’Italia con il peggior sindaco d’Italia (secondo il giudizio dei suoi cittadini), può essere che le cose non vadano proprio come volevi tu… E può accadere che i tuoi poster, i tuoi manifesti, i tuoi camion vela, tutti rigorosamente con il tuo faccione, non abbiano la presa che ti aspetti. Concetti semplici che il/la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sta facendo propri in queste ultime 24 ore. Grazie ai risultati delle elezioni sarde. Un primo inciampo – non piccolo – sulla sua marcia fino a questo punto trionfale. Un intoppo che però potrebbe avere grandi ripercussioni. A Roma.
In Sardegna il premier Meloni per sostituire il peggior governatore d’Italia ha puntato sul sindaco meno amato
È lo scotto da pagare per aver voluto trasformare a tutti i costi una tornata elettorale locale in una sorta di plebiscito sulla propria leadership, a discapito degli avversari. Il mantra era: in Sardegna vincerà Giorgia Meloni, poco importa se a correre sarà un suo amico, Paolo Truzzu, fidato ma certamente non amato dai cittadini. Anzi, a giudicare dai risultati di Cagliari, si può dire odiato dalla maggior parte dei suoi compaesani (ha preso meno voti da candidato governatore di quanti ne prese da sindaco, persino nel suo seggio è stato meno votato di Todde). E sì che l’alleato/nemico Matteo Salvini l’aveva avvertita: candidare Truzzu è un rischio. Inviso a Cagliari, quasi sconosciuto nel resto della Sardegna.
Inoltre Truzzu non è certo un trascinatore di popolo: se parla, scalda i cuori come una stufa rimasta senza legna… Ma Giorgia è stata sorda. Del resto, se in tv, in tutti i canali generalisti pubblici e privati, è tutto un tessere le tue lodi. Se la maggior parte dei giornali italiani ti idolatra. Se in Europa ti considerano una grande statista, un motivo dovrà pur esserci, no? Se quando cammini per strada la gente sgomita per una foto o un saluto, sarà perché “lei è Giorgia, è una madre, è cristiana ed è la più amata dagli italiani”. No? Beh, forse no.
Forse Giorgia non è così amata, ammirata e, soprattutto, la gente non la vota solo per il fatto che esista (infatti Fratelli d’Italia è il secondo partito, dopo il Pd). Soprattutto in una terra dimenticata – ci si ricorda della Sardegna, solo quando si vota e neanche sempre – che è ridotta allo stremo. Quei 20 punti di scarto tra Truzzu e Todde a Cagliari non sono dovuti solo ai cantieri voluti dal sindaco che hanno sventrato la città. Sono la risposta a una situazione di disperazione che ha avvolto l’isola “grazie” all’incapacità e, dicono i magistrati, alla disonestà, della giunta di Christian Solinas. Quello di domenica per i sardi è stato un voto contro un’intera classe politica, la stessa che oggi guida la Meloni, che il popolo sardo non vuole più vedere nemmeno dipinta. Il giochino del “buttiamo Solinas che era cattivo, vi diamo Truzzu che è bravo, garantisce Giorgia”, non ha funzionato.
La leader di FdI puntava ad un plebiscito. Invece ne è uscita ridimensionata
Che poi sarebbe bastato che Giorgia avesse chiesto consiglio all’amico/nemico Matteo per evitare di essere colpita dalla fatale “sindrome del mojito”. Lui sa cosa significa passare dal chiedere pieni poteri con un cocktail in mano, abbracciato a una fanciulla poco vestita, ad arrancare per racimolare due voti due. Inoltre Salvini ha imparato a sue spese che l’elezione di un presidente di regione a volte rappresenta l’orlo del precipizio. Come potrebbe dimenticare che aveva accarezzato il sogno di strappare ai rossi l’Emilia-Romagna, grazie alla candidata Lucia Borgonzoni? Quella che appena nominata sottosegretario alla Cultura, si era vantata pubblicamente di non leggere un libro da tre anni…
Già Salvini, che se è possibile esce dalla Sardegna con le ossa più rotte di Giorgia. Negli ultimi 5 anni ha dettato legge sull’isola. Perché 5 anni fa col vento in poppa e il mojito in mano prese l’11,4%. Oggi rischia di non arrivare neanche al 4%. Sognava il voto disgiunto (alla lista della Lega e a Todde) per poter condurre la sua guerra a bassa intensità contro Giorgia. Ha raggiunto solo il 50% dei suoi obbiettivi. La Lega è rimasta con un pugno di mosche. E intanto Luca Zaia, nel profondo Nord, ne attende il ritorno. E affila le lame.