Anche se ormai siamo abituati al fatto che i quotidiani italiani mainstream, di ogni ordine e tipo, fanno del doppiopesismo la loro cifra stilistica, ciò non significa che constatarlo è sempre doloroso. L’ultimo caso di questa preoccupante dinamica è quello emerso nel trattamento riservato alla notizia della morte in carcere di Alexei Navalny, l’uomo che ha lottato con la vita contro il regime di Vladimir Putin e a difesa della democrazia e a cui vengono giustamente dedicati paginoni da giorni mentre – nell’incredibile e imbarazzante disinteresse dei media – si è fatto passare sotto traccia il caso di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks che ha rivelato al mondo i crimini di guerra commessi dal Pentagono durante la guerra in Iraq e in Afghanistan. Eppure i due personaggi, seppur molto diversi, hanno in comune il fatto di essere dei paladini della libertà ed essere stati destinatari di premi internazionali.
I cablo riservati su Iraq e Afghanistan svelati da Wikileaks hanno fatto il giro del mondo. Chi oggi censura Assange rinnega se stesso
Nel caso di Assange, detenuto a Londra da quasi sei anni malgrado non sia ancora finito il processo, a rendere il tutto ancor più paradossale è il fatto che la sua ‘colpa’ è quella di aver difeso la libertà di stampa pubblicando documenti riservati del Pentagono e di altre istituzioni americane che poi si sono rivelati veritieri. Insomma ha fatto quello che è il normale compito di un giornalista, mettendo a segno una serie di scoop che hanno cambiato la storia consentendogli di ottenere tra i tanti anche un premio Pulitzer che è la più prestigiosa onorificenza per il giornalismo, ma da quel mondo di cui ormai fa parte – il giornalismo appunto – e che sta difendendo con le unghie e con i denti è stato quasi completamente dimenticato.
Eppure quelli che ora hanno fatto calare il sipario sul fondatore di Wikileaks sono gli stessi che da un decennio a questa parte hanno fatto largo uso delle rivelazioni di Assange, ripubblicandole sui quotidiani e quindi monetizzandole. Silenzi carichi di imbarazzo che lasciano il lecito dubbio che il doppiopesismo sulle due vicende risieda nel fatto che Navalny è vittima del sanguinario regime di Putin, mentre Assange è un perseguitato degli Stati Uniti e si vuole cercare di non criticare troppo aspramente l’alleato dell’Italia. Un teatrino davvero poco nobilitante per l’editoria italiana che, dai giornali di area centrodestra come quelli di centrosinistra, non risparmia pressoché nessuno.
La Stampa alla vigilia della sentenza della Corte di giustizia del Regno Unito ha completamente ignorato la notizia
Un caso emblematico è La Stampa, quotidiano torinese del gruppo Gedi da sempre elogiato per le pagine degli Esteri, che – come tutti – ha pubblicato i dossier di Wikileaks ma che ieri, alla vigilia della sentenza della Corte di giustizia del Regno Unito, ha completamente ignorato la notizia mentre, ribadiamo in modo più che giusto, ha dedicato pagine su pagine al caso Navalny. Sfogliando il quotidiano fa impressione vedere l’assenza di richiami in prima pagina su Assange e stupisce ancor di più constatare che non è presente alcun articolo in tutto il giornale. Storia non molto diversa per Repubblica, anch’esso del gruppo Gedi, che ‘dimentica’ di richiamare in prima pagina l’unico articolo presente sul quotidiano, in realtà un misero box che si fa perfino fatica a scovare, dedicando, invece, sei pagine a Navalny.
Non fa molto di più il Corriere della Sera che si limita a un articolo molto generico e relegato a pagina 13, implicitamente indicando quanto venga ritenuta importante la notizia dell’udienza britannica, dal titolo ‘Assange e l’ultima mossa per evitare l’estradizione: negli Usa morirebbe”. Va leggermente meglio con il Sole 24 ore che presenta un richiamo in prima pagina per l’articolo intitolato ‘Assange, ultima chance per evitare l’estradizione e l’arresto negli Usa, non troppo dissimile da quello del Corriere della Sera, che trova posto soltanto a pagina 14. Perfino su Avvenire, giornale di area cattolica, la prima pagina non presentava nessun richiamo ad Assange ma che, sfogliando le sue pagine, presentava un articolo a pagina 11 dal titolo “Stella Assange: “Julian in America rischia di essere un altro Navalny”.
Molti giornali saccheggiarono i suoi scoop. Adesso il caso occupa al massimo piccoli trafiletti
Stessa storia anche guardando ai giornali di area centrodestra con La Verità che non presenta alcun richiamo in prima pagina come anche Il Giornale che dedica un articolo dal titolo “L’ultima carta di Assange: negli usa rischia la vita” a pagina 14. A disinguersi è Libero dove, nella prima pagina di ieri, compariva un editoriale molto critico verso la figura del fondatore di Wikileaks, a firma di Daniele Capezzone, intitolato: “Julian Assange non è il Navalny dell’Occidente”. Nel testo si legge che “del fondatore di Wikileaks si può dire (ed è stato effettivamente detto) tutto e il contrario di tutto: qualcuno lo vede come un martire della libertà, come un eroe del giornalismo anti-sistema, (…) altri lo vedono come un traditore, come un uomo che ha messo a rischio le vite di numerosi occidentali, come un soggetto che non ha mai creato problemi ad autocrazie e dittature ma solo alle democrazie dell’alleanza atlantica”.
Quale sia la posizione di Capezzone lo spiega lui stesso: “Legittimo discuterne e – personalmente – mi considero tutto sommato più vicino alla seconda scuola di pensiero che non alla prima”. Articolo in cui Assange viene definito “più prodotto che attore di una cyberwar globale appena all’inizio” per poi apparentemente prenderne le distanze, sostanzialmente confermando di appartenere a quella che poco prima aveva definito ‘la seconda scuola di pensiero’, affermando che “non siamo neanche stati capaci di spiegare bene che i veri eroi della libertà sono i ragazzi che, in Iran e non solo, tentano come possono di usare la rete contro le dittature”. Posizione, quella di Capezzone, che non è affatto dissimile da quella espressa martedì sera a Otto e mezzo su La7 da Mario Sechi (nella foto), direttore responsabile proprio di Libero, che in un dibattito con il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio aveva anticipato la linea del suo giornale definendo Assange “un personaggio controverso”.
Ma Sechi è un fiume in piena e incalzato da uno sbigottito Travaglio, insiste: “Non possiamo equiparare la situazione di Navalny con quella di Assange. La dissidenza di Navalny è diventata un martirio, Assange è comunque dentro un sistema dell’ordine liberale, che, piaccia o meno, ha più garanzie” ignorando che il fondatore di Wikileaks ha vissuto gli ultimi cinque anni recluso in un carcere britannico quando il processo, fondato su accuse che Lilli Gruber in studio gli ricorda che non sono state fin qui provate, non si è nemmeno concluso.