Qualcuno lo definiva un dissidente politico, altri un patriota. Ma per tutti, tanto in Russia quanto nel resto del mondo, Alexei Navalny era un morto che camminava. Una facile previsione che, purtroppo, si è concretizzata ieri quando dal penitenziario Kard, situato in una remota e inaccessibile regione della Siberia del nord, è arrivata la notizia del decesso dell’uomo che ha osato sfidare Vladimir Putin.
Usa e Ue contro lo Zar per la morte in carcere del dissidente Alexei Navalny. Ma il Cremlino nega: solita propaganda dell’Occidente
“Il 16 febbraio di quest’anno, nella colonia correzionale n. 3, il detenuto Navalny A.A. si è sentito male dopo una passeggiata, perdendo quasi immediatamente conoscenza. Gli operatori sanitari dell’istituto sono immediatamente arrivati ed è stata chiamata una squadra medica di emergenza”, si legge nel comunicato del carcere. “Sono state eseguite tutte le misure di rianimazione necessarie, ma non hanno dato risultati positivi. I medici del pronto soccorso hanno confermato la morte del condannato. Si stanno accertando le cause della morte”, conclude il lapidario comunicato.
Parole a cui hanno fatto seguito quelle del portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, secondo cui Putin è stato prontamente informato della morte di Navalny ma di non conoscere la cause del decesso, annunciando che il Comitato investigativo russo della regione artica di Yamalo-Nenets, dove era detenuto il dissidente russo, ha aperto un’inchiesta sulla morte del 47enne che fino a quel momento, seppur provato da anni di durissima detenzione, era sempre apparso in buone condizioni di salute.
“Non ci sono stati reclami sulla salute. È vero. Non abbiamo avuto informazioni al riguardo”
A lasciarlo pensare sia le parole della moglie di Navalny che ha ricordato una telefonata avuta soltanto il giorno prima del decesso e che ha puntato il dito contro Putin, sia quelle di Leonid Volkov, fedelissimo del dissidente russo, che soltanto tre giorni prima aveva affermato che l’oppositore era “in condizioni psicofisiche sorprendentemente buone” e che non temeva per la sua vita, assicurando di “sentirsi al sicuro”. Tesi, quella delle condizioni di salute più che buone, che è stata sostenuta anche dal direttore della Commissione regionale di vigilanza pubblica, Danila Gontar, che all’agenzia Tass ha dichiarato: “Non ci sono stati reclami sulla salute. È vero. Non abbiamo avuto informazioni al riguardo”. Eppure mentre crescono i sospetti, la tv Russia Today – considerata molto vicina al Cremlino – sembra avere già una diagnosi perché, in un breve servizio andato in onda ieri, parla di un decesso causato per “un coagulo sanguigno”.
Quel che è certo è che il caso ha riacceso lo scontro tra occidente e Mosca. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto che “dobbiamo stabilire tutti i fatti e la Russia deve rispondere a tutte le domande sulle cause” di questo strano decesso, ricordando che “Navalny era una voce molto forte per la libertà, per la democrazia, e per questo gli alleati della Nato hanno chiesto a lungo il suo rilascio immediato”. Ben più duro il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che ha subito tuonato: “Navalny è stato ucciso” e Putin dovrà “rendere conto dei suoi crimini”.
Indignazione che filtra anche dall’Unione europea con Ursula von der Leyen che ha detto che “Putin non teme altro che il dissenso del suo stesso popolo. Un triste promemoria di ciò che rappresentano lo zar e il suo regime. Uniamoci nella nostra lotta per salvaguardare la libertà e la sicurezza di coloro che osano opporsi all’autocrazia”, a cui poco dopo ha fatto eco l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, dicendosi “sconvolto” e dichiarando che “quanto accaduto è solo responsabilità di Putin”.
Decesso che per Joe Biden e per il segretario di stato Usa, Anthony Blinken, è direttamente imputabile “alla Russia” e che dimostra, ancora una volta, che “il sistema di Putin è debole e marcio”. Un’infinita serie di accuse a cui ha risposto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, secondo cui “la reazione immediata dei leader della Nato alla morte di Navalny, sotto forma di accuse dirette contro la Russia”, mostra la natura di questi Paesi, in quanto “non esiste ancora un esame forense, ma le conclusioni dell’Occidente sono già pronte”. Il Cremlino poi,con una nota, ha definito “assolutamente inaccettabili” le accuse rivolte a Putin dai Paesi occidentali.
Dalla Politkovskaja a Prigozhin. Chi si è messo di traverso al presidente russo è finito male
Difficile sapere come siano andate davvero le cose anche se la storia di Navalny è costellata di episodi che sembrano giustificare i timori dell’occidente. Nel 2020, quando stava facendo campagna elettorale sperando di battere lo zar, era stato vittima di un tentativo di avvelenamento con gas nervino. Ormai in fin di vita e grazie alla sollevazione dell’occidente, il Cremlino aveva concesso a Navalny il permesso di curarsi in Germania dove gli veniva salvata la vita. Nonostante questo tentativo di omicidio, l’uomo decideva di tornare in Russia per continuare a combattere per la libertà dove finiva nel mirino della giustizia a suon di processi farsa, culminati con una condanna a dieci e poi ad altri diciannove anni di carcere. Ma non è tutto.
Il caso di Navalny non è che l’ultimo episodio ‘sospetto’ di quella che appare come una strategia omicida del Cremlino. Nel 2006 a farne le spese era stata Anna Politkovskaja, giornalista di Novaja Gazeta e autrice di diversi reportage sulla seconda guerra cecena voluta da Putin in cui l’esercito avrebbe calpestato i diritti umani degli invasi, assassinata con diversi colpi di pistola. Nel 2019 l’ira dello zar raggiunge Zelimkhan Khangoshvili, reo di aver denunciato delle spie russe in Cecenia, che aveva trovato riparo a Berlino in cui, però, veniva assassinato in un parco a colpi di pistola.
In questo elenco che non può essere esaustivo visto che le morti sospette sono letteralmente esplose durante la guerra in Ucraina, tra oppositori, leader militari e oligarchi che sono morti in incidenti d’auto o volando dalla finestra di qualche hotel, a far rumore è stata soprattutto la morte di Evgenij Prigozhin. L’ex cuoco e fedelissimo di Putin, poi diventato leader della Wagner, dopo un lungo braccio di ferro con l’esercito russo nell’estate del 2023 aveva organizzato un maccheronico golpe concluso con l’esilio. Pochi mesi dopo, però, l’elicottero su cui viaggiava insieme agli altri vertici della Wagner, esplodeva in aria causandone il decesso per il quale, proprio come con Navalny, tutti puntano il dito contro Putin.