Tempi duri per i putiniani d’Italia. Con la morte di Alexei Navalny, sicuramente non di raffreddore, i camerieri della politica atlantica dettata da Washinton sentono di aver beccato il presidente russo con la pistola fumante in mano. Dunque, al Cremlino comanda un assassino e perciò facciamo bene a combatterlo armando Kiev all’infinito, e mentre ci siamo pagando la benzina e il gas uno sproposito, così come tutto il resto, perché le guerre costano e il conto non risparmia nessuno.
Ma i metodi di Putin non si conoscono da ieri. E altre eliminazioni esemplari, come quella della giornalista Anna Politkovskaja, o dell’ex agente segreto diventato dissidente Aleksandr Litvinenko, avvelenato col polonio, fanno parte della cassetta degli attrezzi di un autocrate che si porta sulla coscienza centinaia di migliaia di vittime solo negli ultimi due anni di guerra in Ucraina.
Piuttosto, la morte di Navalny a un mese dalle prossime elezioni farsa testimonia quanto potere ha tutt’oggi lo zar a Mosca, al punto da non temere alcun dissenso per quest’ultimo assassinio di Stato. Per questo il nostro atteggiamento verso Putin dovrebbe essere più pragmatico, e quindi meno inchinato a Biden e ai vantaggi economici che gli regala una guerra in Europa.
Chiedere l’apertura di un piano diplomatico, togliere le armi a Zelensky se non si va a sedere a un tavolo di Pace e ridurre le sanzioni alla Russia se accetta di trattare, significa fare i nostri interessi di italiani e di europei. Poi Zelensky e Putin resteranno quello che sono. E non meravigliamoci se tra i due il più pulito ha la rogna.