I divari tra Regioni in ambito sanitario sono già enormi e l’autonomia differenziata aggraverà “le disuguaglianze interregionali”. L’allarme viene lanciato da Svimez in occasione della presentazione di un rapporto (in collaborazione con Save the Children) nel quale si evidenziano i forti divari tra Nord e Sud sul fronte delle cure e della prevenzione.
Stando alle risultanze per l’individuazione dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, il timore è che “tutte le Regioni a statuto ordinario potrebbero richiedere il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali ulteriori rispetto ai Lea” in diversi ambiti, dal personale all’attività libero-professionale, dall’accesso alle scuole di specializzazione alle tariffe.
I rischi dell’autonomia differenziata per la sanità
Ulteriori forme di autonomia, avvertono gli autori del report, potrebbero “determinare ulteriori capacità di spesa nelle Regioni ad autonomia rafforzata, finanziate dalle compartecipazioni legate al trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica”.
Il che avverrebbe “in un contesto in cui i Lea non hanno copertura finanziaria integrale a livello nazionale e 5 delle 8 Regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti”. Così facendo si “determinerebbe una ulteriore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario”.
Quindi l’autonomia differenziata di stampo governativo rischierebbe di aumentare “la sperequazione finanziaria tra Servizi sanitari regionali e di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute”. Come sottolinea il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, il “meridione sarà sempre più dipendente dalla sanità del Nord, minando l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute. Uno scenario già evidente: su 14 Regioni adempienti ai Lea solo 3 sono del Sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata) e tutte a fondo classifica, mentre la fuga per curarsi verso il Nord vale 4,25 miliardi di euro”.
La fuga dal Sud per curarsi
L’altro dato che emerge dal report riguarda la fuga dal Sud: tantissimi pazienti sono costretti a curarsi in strutture sanitarie del Centro e del Nord, pur vivendo nel Mezzogiorno. Soprattutto in caso di patologie più gravi. Nel 2022 i migranti sanitari sono stati 629mila: di questi il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno.
Per la patologie oncologiche si sono dovuti spostare 12.401 pazienti meridionali, il 22% del totale dei pazienti. L’incidenza più elevata di migrazioni si registra in Calabria, con il 43% di pazienti che si rivolge a strutture di regioni non confinanti. Alta la percentuale anche in Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Il problema riguarda anche i pazienti pediatrici, con un dato che nel 2020 si attesta all’8,7% a livello nazionale, ma si va dal 3,4% del Lazio al 43,3% del Molise e al 30,8% della Basilicata. Si tratta soprattutto di cure per disturbi mentali, neurologici o della nutrizione, con i grandi centri che si trovano soprattutto a Roma, Genova e Firenze.