di Carmine Gazzanni
E’ il 29 ottobre quando il consiglio dei ministri annuncia trionfalmente il rifinanziamento della cosiddetta “social card” per 35 milioni di euro. Ottimo. Una misura per andare incontro ai meno agiati in un periodo in cui, per molti, non è facile sbarcare il lunario. Eppure, nonostante l’apprezzabile fine del provvedimento, a poterne beneficiare, più che il singolo cittadino, potrebbero essere banche o intermediari finanziari. Sembrerebbe un’eresia: in che modo tali istituti potrebbero trarre vantaggio da un finanziamento indirizzato a tutt’altre persone e, soprattutto, a tutt’altri tenori di vita? La risposta va ritrovata in uno degli ultimi bandi indetti dalla Consip, la partecipata al 100% dal ministero dell’Economia che si occupa di fornire tutta la gigantesca macchina delle PA di beni e servizi. Pochi giorni dopo la decisione dell’esecutivo, infatti, ecco la gara “per l’individuazione del Gestore del Servizio Integrato di gestione della Carta Acquisti”. Fin qui tutto normale: giocoforza qualcuno deve occuparsi dell’emissione, controllo e distribuzione delle carte. Eppure il (colossale) valore dell’appalto lascia certamente spiazzati: 10 milioni 260 mila euro. Niente male considerando che tutto il finanziamento arriva, come detto, a 35 milioni.
La procedura
Qualcuno però potrebbe obiettare che il servizio da prestare non è certo poca cosa dato che si parla di ben 600 mila social card. Vero. Di fatti anche la volta precedente – 2009 – la Consip aveva indetto una gara molto simile che si aggiudicò, come molti ricorderanno, Poste Italiane. Confrontando però le procedure scopriamo che tra i due bandi ci sono piccole ma notevoli differenze. A cominciare dal fatto che, mentre nel 2009, si parlava di “procedura ristretta”, ora la gara prevedrebbe una “procedura aperta”. “Sono semplici dettagli tecnici”, dicono direttamente dalla Consip. Eppure il passaggio non sembrerebbe di poco conto dato che nel secondo caso si permette a molti più operatori di partecipare alla gara (nella procedura ristretta gli interessati possono presentare domanda di partecipazione, ma poi solo gli operatori invitati possono presentare offerta; non è così invece in quella aperta). È la Consip stessa, d’altronde, che ammette che il cambiamento sia un modo per rispondere alle esigenze del libero mercato.
Procedura “pro bancam”?
La differenza capitale, però, sta nelle “condizioni di partecipazione”. Nel bando del 2009 si richiamava infatti l’articolo 34 del decreto 163/2006 il quale specifica i “soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici”. E di chi stiamo parlando? In pratica consorzi, enti, imprese private e pubbliche. Tanto che, come detto, lo scorso bando fu vinto da Poste Italiane. Nel bando di oggi, invece, non si cita più soltanto il decreto del 2006, ma anche il numero 385 del 1993 e, precisamente, gli articoli 13 e 107, quelli che in altre parole istituiscono l’albo degli intermediari finanziari e quello delle banche. Per la Consip, però, la cosa non dovrebbe affatto sorprendere dato che, come fanno sapere, anche gli altri anni hanno partecipato le banche: ora si sarebbe solo stati più precisi con i legittimi riferimenti normativi. Difficile credere che anche istituti finanziari siano stati però ammessi dato che, nel 2009, non rientravano tra i soggetti “legittimati a partecipare”. Insomma, o si è caduti in errore allora ammettendo chi di fatto non poteva partecipare oppure si sono cambiate le carte in tavola ora. Ma dopotutto che sia o meno una legge pro bancam cambia poco. Il risultato è comunque lo stesso: anche i colossi finanziari (privati) potranno partecipare – legittimamente – al bando cercando di allungare le mani sull’immenso boccone (pubblico) da dieci milioni di euro.