Le cose al momento stanno così: alla voce mobilità sanitaria, ovvero la quota dei pazienti che “migrano” da un territorio all’altro per garantirsi prestazioni e assistenza, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna hanno registrato un saldo attivo del 93,3%. E non è un caso che si tratti proprio delle regioni capofila dell’autonomia differenziata. Al contrario, il saldo passivo, pari al 76,9%, si concentra invece nelle regioni che guidano la crociata contro la riforma Calderoli: Campania e Calabria in testa, seguite da Sicilia, Puglia, Abruzzo e Lazio.
Le condizioni della sanità in Campania sono destinate ad aggravarsi con la riforma dell’autonomia differenziata
Cifre di un divario messe in luce dall’ultimo report della Fondazione Gimbe. Per il cui presidente, Nino Cartabellotta, “la mobilità sanitaria riflette diseguaglianze non solo economiche ma anche sociali, etiche ed economiche”. Una “frattura strutturale”, sottolinea il numero uno della Fondazione, destinata ad aggravarsi con l’autonomia differenziata. Ad aggiornare ed elaborare il dato, ci ha pensato in questi giorni il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, ricordando che “già oggi 40 miliardi di euro di fondi vengono dirottati sulla sanità privata convenzionata”, per poi rivolgersi direttamente a Calderoli: “Allora decidiamo che quando si parte con l’autonomia, recuperiamo il divario su posti letto e personale medico in Emilia, Lombardia e Veneto a diamo a tutte le regioni le stesse risorse del fondo sanitario nazionale”.
“Pur non condividendo la gestione della sanità in Campania da parte di De Luca – è il pensiero di Antonio Eliseo, del sindacato infermieri Nursind – sull’autonomia non posso che condividere le sue idee. Sarebbe la mazzata finale a un servizio già messo in ginocchio da un piano di riparto fondi che penalizza più di tutti proprio la Campania, perché si basa sul fatto che siamo la regione più giovane, dunque per questo destinataria di minori finanziamenti”. Secondo Eliseo “il dato che da subito toccheremo con mano sarà quello di una fuga senza precedenti di professionisti verso le aziende sanitarie del Nord, che potranno promuovere contratti sicuramente più vantaggiosi rispetto ai nostri. Tutto questo in una regione che già paga la carenza di 10mila unità di personale. Ci toccherà fare i conti con sistemi sanitari non a due, ma a tre velocità: l’asse veneto-lombardo-piemontese, quello tosco-emiliano e il nostro”.
Per l’associazione Nessuno tocchi Ippocrate sono a rischio chiusura molti ospedali
“Qualcuno dovrà spiegare come sia compatibile con etica ed efficienza la parcellizzazione in 20 sistemi sanitari di un paese di pochi chilometri quadri”, sottolinea Carlo Spirito, responsabile dello sportello sanità di Federconsumatori Campania. “Toccherà ragionare collettivamente, in termini realistici, di modelli sanitari alternativi a quelli imposti dal Centro-Nord – prosegue Spirito – notoriamente fondati sulla concorrenza. Quello che serve è piuttosto un sistema fondato su centri di costo condivisi per l’erogazione delle prestazioni ad alta specialità, così da massimizzare le scarse risorse a disposizione per le regioni meridionali”.
“Siamo molto legati nostalgicamente al concetto di sistema sanitario nazionale – ragiona Manuel Ruggiero, medico e presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Ippocrate – naturalmente con una equa ripartizione dei fondi per tutte le regioni. Per questo guardiamo con estremo timore agli effetti di questa riforma in una regione nella quale ci sono ospedali storici chiusi dall’epoca Covid e ospedali modulari nuovi chiusi dal post Covid. L’autonomia darebbe il colpo di grazia, aumentando sempre di più il divario tra i nostri sistemi sanitari”.