Da Gedi al gruppo Caltagirone e fino all’impero mediatico della famiglia Angelucci. Se ne parla da decenni ma per l’informazione italiana sembra impossibile liberarsi dal cosiddetto fenomeno degli editori impuri, ossia imprenditori che non si occupano esclusivamente della carta stampata ma che al contrario sono fortemente impegnati anche in altre attività di mercato. Al contrario gli editori puri, quelli che secondo i manuali di giornalismo dovrebbero occuparsi di informazione, sono sempre più rari e si contano sulla punta delle dita.
Si dibatte da sempre sui tanti conflitti d’interesse. Poi però sull’informazione non si cambia
Che quello della stampa sia un settore in crisi di consensi e anche economica, è cosa nota. Del resto i dati sulle vendite in edicola sono drammatici ma quasi nessuno sembra mettere a fuoco il problema della disaffezione dei lettori a cui è vero che contribuiscono innumerevoli fattori, tra cui il dilagare dei social, ma su cui ha sicuramente un peso notevole proprio la consapevolezza che il settore, seppur in modo del tutto legale, è in mano a imprenditori e a interessi anche politici.
Un esercito di editori impuri che ultimamente vede protagonista la famiglia Angelucci (leggi articolo a pagina 3). Il capostipite è Antonio Angelucci, attualmente parlamentare della Lega dopo esserlo stato per diverse legislature con Forza Italia, nonché ‘re delle cliniche’ che vanta tra i fiori all’occhiello il San Raffaele, che in questi ultimi tempi sta costruendo un impero mediatico in salsa sovranista. Questa cavalcata ha avuto inizio nel 2001 quando l’imprenditore della sanità privata ha messo le mani su Libero ed è continuata con l’acquisizione de Corriere dell’Umbria e dopo con quella del 2006 quando Angelucci ha rilevato Il Tempo, imponendosi all’attenzione di tutti come l’editore di riferimento per tutto il centrodestra.
Un ruolo che ha ulteriormente potenziato pochi mesi fa quando ha rilevato, non senza polemiche, il 70 per cento della Società Europea di Edizioni spa che altro non è che la società editrice de Il Giornale che fu di Silvio Berlusconi. Un’operazione costata 14 milioni di euro e il cui risultato più evidente è che ha di fatto sancito che tutti i giornali di destra, di tutte le destre che stanno al governo, ora appartengono a un solo editore. Una galassia a cui, secondo diversi rumor, potrebbe aggiungersi anche La Verità anche se, almeno al momento, il direttore Maurizio Belpietro smentisce ogni trattativa.
Un impero editoriale potente che solleva non poche perplessità. Questo perché il principale interesse degli Angelucci è indirizzato al settore della Sanità e l’attuale governatore del Lazio Francesco Rocca in passato è stato presidente proprio del San Raffaele. Proprio per questo, come riporta Il Fatto Quotidiano, “in occasione della discussione sulla manovra di bilancio” alla Pisana, “il gruppo del Pd alla Regione Lazio ha accusato Rocca di favorire i privati ai danni della sanità pubblica”.
Altro grande polo è quello di Gedi, gestito dalla famiglia Agnelli-Elkann. Si tratta di un impero colossale, con area di riferimento il centrosinistra, che detiene – tra i tanti – Repubblica e La Stampa ma che negli ultimi tempi sembra aver iniziato un lento declino, culminato in quello che appare un piano di dismissioni generalizzato. Ultimamente si sono susseguite numerose voci – sempre smentite – di una presunta trattativa per la cessione di Radio Capital. Esattamente come si vocifera di un interessamento di Gianluigi Aponte, fondatore e presidente di Msc, per l’acquisto del Secolo XIX.
Come noto la proprietà è tutt’altro che incentrata sull’informazione e spazia in numerosi settori, tra cui quello delle automobili e quello della sanità privata. Interessi legittimi ma che secondo tanti maligni sarebbero alla base dell’acquisizione di Gedi, un tempo in mano all’editore De Benedetti, da parte degli Agnelli-Elkann per rendere accettabile all’opinione pubblica il disimpegno di Fiat-Stellantis dall’Italia. Un dubbio legittimo il loro soprattutto alla luce di alcuni articoli comparsi sui quotidiani del gruppo in cui si cercava di limare, talvolta anche grossolanamente, il progressivo addio all’Italia, mascherandolo dietro mirabolanti opportunità da cogliere all’estero.
In questo panorama di editori impuri non manca neanche il re del mattone, Francesco Gaetano Caltagirone (nella foto). Il costruttore e finanziere ha in mano un piccolo impero editoriale in cui può annoverare due importanti quotidiani: Il Messaggero e Il Mattino. Proprio come nei casi precedenti anche questo gruppo è inevitabilmente soggetto agli interessi del proprio patron. Come riporta Il Fatto Quotidiano è passata alla storia la “campagna durata mesi, con almeno un articolo al giorno, contro i tram di Roma” in cui si sosteneva che tale mezzo, ritenuto dagli esperti come uno tra i più puliti ed efficienti, era secondo il quotidiano romano “anacronistico, se non dannoso”. Qualcuno potrebbe chiedersi come mai tanto astio verso un mezzo pubblico e la risposta è ancora una volta legata agli interessi della proprietà che, inevitabilmente, condizionano i contenuti editoriali. Il tram, infatti, veniva visto come “concorrenziale alla prosecuzione della Metro C, su cui è impegnata anche la Vianini Lavori del Gruppo Caltagirone”.
Molto particolare è il caso del Gruppo Romeo che ha sempre avuto rapporti con la Pubblica amministrazione e ora controlla sia l’Unità che Il Riformista. Due proprietà che servono all’imprenditore per tenere allacciati i i rapporti con Matteo Renzi, quest’ultimo scelto come direttore editoriale proprio de Il Riformista, e con il Partito democratico attraverso l’Unità. Altro editore da menzionare è Carlo De Benedetti che, in rotta con i figli, si è recentemente reinventato fondando Il Domani che non accede ai contributi pubblici per garantirsi l’indipendenza. Il suo potrebbe sembrare il caso di un editore puro ma neanche lui può dirsi del tutto estraneo agli interessi della politica visto che proprio De Benedetti sarebbe possessore della tessera numero 1 del Pd.