La contrattazione di secondo livello, in Italia, quasi non esiste. Il che vuol dire che molto spesso si rimane legati a quanto previsto, in tema di salari, dal contratto collettivo nazionale. Senza, quindi, altri elementi migliorativi che possano aumentare gli stipendi. Motivo per cui un salario minimo sarebbe utile e rafforzerebbe la condizione dei lavoratori, non entrando in contrapposizione con la contrattazione collettiva, come spiega il presidente dell’Inapp (l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), Sebastiano Fadda.
Il rapporto dell’Inapp – un ente pubblico vigilato dal ministero del Lavoro – evidenzia che la quota di imprese che dichiara di aver aderito al Ccnl è salita (tra il 2018 e il 2022) dal 75% all’87%. Invece quelle che applicano la contrattazione di secondo livello sono sì salite, ma solamente dal 3,5% al 4%. Una quota che, quindi, resta minoritaria.
La contrattazione collettiva e di secondo livello in Italia
L’Inapp sottolinea che l’applicazione del contratto nazionale “nasconde tuttavia profonde eterogeneità rispetto al settore, alla dimensione e alla localizzazione geografica dell’impresa: se guardiamo alle imprese con più di 250 dipendenti, la quota di quelle che decidono di applicare la contrattazione collettiva è uguale al 98% mentre tra quelle con meno di 10 impiegati è pari all’84%, inoltre tra le imprese del Nord la quota di quelle che adottano la contrattazione collettiva nazionale è pari all’88% mentre tra quelle del Sud/Isole scende all’86%”.
Per quanto riguarda la contrattazione di secondo livello, la quota di imprese che dichiara di applicarla è solo del 4%. Una percentuale molto bassa, anche se in salita anche grazie a “politiche soft di promozione del decentramento della contrattazione collettiva, cioè politiche che incentivano la diffusione autonoma dello stesso secondo livello attraverso la leva economica”.
Perché serve il salario minimo secondo l’Inapp
Il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, commentando questi dati spiega per quale motivo ritiene che sarebbe utile introdurre un salario minimo per legge. Si tratterebbe di una misura che non va considerata come un “salario sostituivo dei salari definiti dalla contrattazione collettiva, ma semplicemente una soglia minima invalicabile al di sotto della quale le retribuzioni non possono scendere, ci sia o non ci sia contrattazione collettiva”.
La contrattazione collettiva è sì utile per permettere alle organizzazioni sindacali di raggiungere “livelli salariali più alti”, ma non si contrappone in alcun modo al salario minimo: “I due sistemi (salario minimo e contrattazione collettiva) possono convivere e rafforzarsi a vicenda, stabilendo dei parametri oggettivi che abbiano il fine di tutelare tutti i lavoratori, nessuno escluso”. Tanto più, sembra il ragionamento, se l’applicazione della contrattazione di secondo livello è minima e non ci si trova di fronte a condizioni migliorative per i lavoratori, nonostante contratti collettivi spesso scaduti da diversi anni.