Non erano in tantissimi al Plebiscito, martedì pomeriggio, a urlare contro Roberto Calderoli e il suo progetto di autonomia differenziata, ma hanno fatto rumore. In meno di 200, hanno portato in piazza la voce di tantissime realtà che da anni fanno la propria parte a tutela dei diritti del Mezzogiorno d’Italia. Si calcolavano almeno una trentina di sigle, partiti politici compresi, con o senza simboli e bandiere.
A Napoli imprese e cittadini contro il ddl di Calderoli sull’autonomia differenziata
“Abbiamo voluto portare la voce del popolo, ma abbiamo voluto anche raccontare al popolo quali saranno gli effetti drammatici di questa riforma”, ha raccontato un attivista del Movimento Equità Territoriale. Il popolo che, a sentire i manifestanti, “rischia di fare i conti con una distanza sempre più ampia tra i territori più ricchi del Centro-Nord e le regioni del Sud sempre più povere di risorse e residenti”. Nell’elenco di chi rischia di pagare caro il prezzo della riforma che il Governo di Giorgia Meloni ha concesso alla Lega in cambio del premierato, si iscrivono oggi anche quanti rappresentano i settori produttivi in Campania e al Sud.
A partire dal presidente dell’Unione Industriali Napoli, Costanzo Jannotti Pecci, che ha sempre manifestato “l’assoluta contrarietà alla riforma”, sottolineando quanto già rimarcato dal costituzionalista Massimo Villone su queste pagine. “Bisogna ribaltare il concetto di Nord locomotiva – ha dichiarato il numero uno degli industriali napoletani – se è il Sud a ripartire e a fare da locomotiva del Paese, ne beneficeranno tutte le aziende di ogni parte d’Italia. Ma quella dell’autonomia mi sembra francamente una battaglia che qualcuno sta facendo solo a finalità elettorali. Credo che il Paese abbia bisogno in questo momento di altre strade, non certo di dividersi”. Per il presidente di Confcommercio Campania Pasquale Russo, “l’autonomia differenziata penalizza le regioni del Mezzogiorno, toglie risorse ed accentua la disparità di trattamento per i cittadini su diritti fondamentali, come quello alla salute e all’istruzione. Non è una questione di capacità di gestire meglio le risorse, ma un cambio significativo sulla disponibilità di risorse economiche che saranno inevitabilmente sottratte alle regioni del Sud”.
Anna Ceprano, presidente di Legacoop Campania, chiede di “scongiurare il pericolo di una riforma che porterà a una trasformazione radicale degli assetti di potere in Italia, in una fase in cui il Paese ha assoluta necessità di rimanere coeso. Immaginiamo quali ricadute possa avere questo progetto sulle politiche sociali nel Mezzogiorno, dove già non esiste più un ceto medio ed è sempre più ampia la percentuale di nuovi poveri”. Per il presidente di Confesercenti Campania, Vincenzo Schiavo, quella sull’autonomia è una legge “che porterebbe a un ulteriore impoverimento del Mezzogiorno. Si potrà parlare di autonomia differenziata solo quando tutti partiranno con gli stessi obbiettivi e le stesse regole. Dobbiamo mettere prima allo stesso livello il Sud con il Nord e poi ad un certo punto rendere autonome le regioni con la loro capacità produttiva ed economica”.
Gli industriali: “Una riforma che ha solo fini elettorali”
Un coro al quale si unisce Angelo Lancellotti, presidente dell’Acen, l’associazione costruttori di Napoli, per il quale “le radicali misure previste dal ddl Calderoli rischierebbero di avere forti impatti in settori strategici: sulle infrastrutture, creando 21 sistemi logistici diversi, sulla sanità, creando sistemi sanitari iniqui e sull’istruzione, mettendo in crisi il “patto sociale” alla base della nostra Costituzione. I nostri parlamentari si assumono una responsabilità ‘storica’ nel votare questa riforma”.
Il ddl Calderoli porterebbe a un ulteriore impoverimento del Sud e allo sfaldamento di interi territori
Una preoccupazione condivisa dal mondo delle professioni. “Aumenterebbe il divario Nord-Sud – è il pensiero di Eraldo Turi, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Napoli – soprattutto per quanto riguarda la sanità, dove attualmente ci sono lunghe attese per prestazioni ambulatoriali e per i ricoveri, che in alcuni casi superano addirittura i 6-9 mesi. Considerando le consistenti disuguaglianze economiche e reddituali tra il settentrione e il Mezzogiorno d’Italia, è evidente che ciò si ripercuoterebbe ulteriormente su tutti servizi essenziali da erogare quotidianamente ai cittadini”.
Per l’avvocato Elena Coccia, della rete “NoAd” e tra gli estensori del documento sulle criticità della riforma Calderoli consegnato al prefetto di Napoli, “il rischio è che si possa verificare una balcanizzazione del Paese in cui interi pezzi del Mezzogiorno, ma anche aree depresse del Nord, diventino colonie delle regioni più ricche”.