L’Arabia Saudita ha giustiziato almeno 172 persone nel 2023, nonostante il principe saudita Mohammed bin Salman avesse promesso di “limitare” le esecuzioni capitali nel suo Paese in nome del “rinascimento arabo” di cui si fa un gran parlare anche qui in Occidente.
Il triste primato di bin Salman
Da quando il principe ereditario e suo padre, re Salman, hanno assunto il potere nel 2015, l’Arabia Saudita ha giustiziato almeno 1.257 persone, con una media di 140 persone all’anno. I sette anni più sanguinosi della storia moderna del Regno si sono verificati sotto la loro guida e il tasso di esecuzioni è quasi raddoppiato. I numeri si ottengono incrociando i dati dell’Ong Reprieve, dell’Organizzazione euro-saudita per i diritti umani e quelli di Amnesty International.
Per la direttrice di Reprieve Maya Foa “è terrificante pensare che nell’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman tutto proceda come al solito. Dietro i mega-investimenti nello sport e la facciata di riforme, – spiega Foa – il Regno rimane uno dei principali carnefici del mondo. Possedere i libri sbagliati, pubblicare un tweet critico, parlare con un giornalista o essere in disaccordo con il principe ereditario può farti guadagnare una condanna a morte. E mentre i leader mondiali si guardano le scarpe e accettano di credere alle bugie del regime, le uccisioni continuano senza sosta”. Taha al-Hajji, direttore dell’Organizzazione Saudita Europea per i Diritti Umani (ESOHR), sottolinea come il principe bin Salman incolpi le “cattive leggi” e i giudici disonesti per l’alto numero di esecuzioni “ma nel Regno non viene fatto nulla senza la sua approvazione”.
Per al-Hajji “le sue infinite e vuote promesse di riforma sono contraddette dai fatti: è stato un altro anno di spargimento di sangue in Arabia Saudita. I manifestanti e i bambini imputati restano a rischio imminente di esecuzione con un colpo di penna del sovrano”. Il numero reale delle esecuzioni non può essere accertato con certezza. L’Esohr monitora più fonti pubbliche di dati di esecuzione. Nel 2022, le autorità hanno annunciato 147 esecuzioni, ma la Commissione saudita per i diritti umani ha successivamente confermato ad Amnesty International che erano state effettuate 196 esecuzioni: un record moderno. Ad esempio, nel gennaio 2023, l’Esohr è stata informata delle esecuzioni di due cittadini yemeniti avvenute il mese precedente che non erano state riportate nei resoconti ufficiali. Inoltre, non c’è modo di sapere quante centinaia o addirittura migliaia di persone si trovino nel braccio della morte poiché il sistema della giustizia capitale del Regno è quasi del tutto opaco.
Uno sviluppo notevole nel 2023 è un aumento significativo del numero di donne giustiziate: sei, di cui tre di nazionalità saudita, una yemenita, una ghanese e una del Bangladesh. Un’altra è l’esecuzione di due uomini sauditi condannati da tribunali militari: queste sentenze vengono raramente emesse in Arabia Saudita e non è possibile rintracciarle o conoscere i dettagli dei processi lì. Amnesty International a dicembre dell’anno scorso aveva lanciato l’allarme per la sorte di Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad che rischiano l’impiccagione da un momento all’altro dopo che la Corte suprema, ad inizio novembre, ha confermato in gran segreto le condanne per aver partecipato a proteste antigovernative.
Manca solo la ratifica del re Salman perché si proceda alla loro impiccagione. I due ragazzi non possono, infatti, più fare appello. A salvare la faccia e le mani sporche di sangue ci pensa intanto lo sportwashing con il calcio in prima fila e la finale della Coppa Italia già venduta per i prossimi 4 anni. Nemmeno troppo nelle retrovie briga anche l’ex presidente del Consiglio, ora leader di Italia viva, Matteo Renzi.