di Clemente Pistilli
Per i gay extracomunitari perseguitati, ma non troppo, nei loro Paesi, porte chiuse dall’Europa. Per ottenere lo status di rifugiato, a un omosessuale non basta che il suo orientamento sessuale sia considerato reato nella sua terra e neppure che lì siano previste pene detentive: serve la certezza che per i rapporti tra persone dello stesso sesso si finisca realmente in galera. A stabilirlo è stata, in una sentenza appena pubblicata, la Corte di Giustizia Europea. Quell’Unione che ha più volte bacchettato l’Italia per le mancate aperture verso le unioni gay si mostra così più rigida dei giudici del Belpaese, che come specificato di recente dalla stessa Cassazione ritengono che i privilegi previsti per gli extracomunitari perseguitati nei loro Stati debbano essere riconosciuti a chi passa un inferno solo perché non è etero.
Olanda non tanto tollerante
Paradossalmente a finire dinanzi alla Corte europea sono state tre richieste di permesso temporaneo come rifugiati rifiutate a tre africani dai Paesi Bassi, uno degli Stati che già hanno leggi contro l’omofobia e che da sempre si caratterizza per una legislazione piuttosto libertaria. Nel contenzioso tra il Regno di Guglielmo Alessandro, nello specifico tra il Ministeer voor Immigrati en Asiel, un cittadino della Sierra Leone, uno dell’Uganda e uno del Senegal, i giudici europei hanno specificato come va interpretata la direttiva europea del 2004, relativa alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, rispondendo ai quesiti posti dall’esecutivo del premier Mark Rutte e dei tre stranieri. Per la Corte non è automatico il riconoscimento del beneficio di rifugiato a chi finisce davanti a un giudice perché omosessuale e deve fare i conti con un codice che prevede per tali fatti sanzioni sia pecuniarie che detentive, ergastolo compreso. I giudici europei ritengono che lo status va garantito soltanto a chi, nella prassi, finisce davvero in carcere perché gay. Perseguitati senza finire realmente in cella non hanno diritto a permessi di soggiorno, facilitazioni per i ricongiungimenti familiari, per accedere al lavoro, alla scuola e all’assistenza: “Il mero atto di qualificare come reato gli atti omosessuali non garantisce di per sé un atto di persecuzione”.
Paradosso dopo le bacchettate
L’Europa sembrava pensarla diversamente. Da Bruxelles era arrivato l’invito agli Stati membri a dotarsi di leggi “che superino le discriminazioni subite da coppie dello stesso sesso”. E sempre dal Parlamento dell’Unione era stato chiesto alla Commissione di presentare proposte “per garantire che il principio del riconoscimento reciproco sia applicato anche in questo settore, per garantire libertà di circolazione per tutte le persone nell’Unione Europea, senza discriminazioni”. Una volta tanto l’Italia sembra essere avanti, visto che la stessa Cassazione ha ritenuto motivo sufficiente per concedere lo status di rifugiato a chi nel proprio Paese finisce trattato come un delinquente solo perché è gay. Un pronunciamento dello scorso anno sul caso di un cittadino tunisino, che doveva essere espulso da Trieste, parla chiaro. Mentre i giudici si sforzano ad interpretare le norme gli omosessuali continuano intanto a fare i conti con una dura realtà: essere gay è reato in 76 Paesi del mondo e in 7 Paesi è prevista la pena di morte.