Tutti contenti. O, almeno, nessuno scontento. Al di là dei malumori interni (soprattutto dentro Forza Italia), tutti i partiti di maggioranza potranno rivendicare di aver in qualche modo ottenuto qualcosa sul Superbonus. Il provvedimento ad hoc varato dal Consiglio dei ministri, però, è solo un contentino per il partito del vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani. Forza Italia, infatti, ha portato a casa un provvedimento su misura, per quanto il suo impatto è nei fatti davvero ridotto. Mentre il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è riuscito a non scucire un euro per una misura demonizzata in più occasioni da lui stesso (l’ultima solo pochi giorni fa in audizione in commissione Bilancio) e dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
L’accordo è però al ribasso, almeno per Tajani e per chi chiedeva un intervento deciso per salvare famiglie e imprese. Non è una proroga del 110%, ci tiene a sottolineare il governo, ma una modifica selettiva. E in effetti non ha tutti i torti. La novità principale è il fondo (che già esiste) per aiutare i redditi bassi a terminare i lavori, insieme alla sanatoria per evitare la restituzione delle somme per chi non completa la ristrutturazione entro il termine fissato per il 31 dicembre del 2023.
Superbonus, una modifica pensata per pochi
La platea che potrà usufruire del Superbonus al 110% nel 2024 sarà molto limitata. Si prevede un rimborso per la quota a carico dei proprietari che hanno un reddito non superiore a 15mila euro, ma solo nel caso in cui abbiano raggiunto un avanzamento dei lavori almeno al 60% entro il 31 dicembre 2023. In questi casi la proroga varrà da gennaio a ottobre e permetterà a chi ha più difficoltà economiche di continuare a usufruire del 110% di sconto.
Certo, va sottolineato che parliamo di persone che probabilmente neanche hanno mai pensato a lavori di ristrutturazione, considerando i redditi bassissimi a cui si fa riferimento (poco più di mille euro al mese). Le spese aggiuntive per i redditi bassi verranno coperte con un fondo introdotto già lo scorso anno per coprire il passaggio dal 110% al 90% per chi non aveva finito i lavori in tempo. A disposizione c’erano 20 milioni, ma le domande (considerando i criteri stringenti di reddito) sono state pochissime e così sono stati spesi solo 3,5 milioni e ne sono rimasti altri 16 a cui attingere per il 2024.
Il fondo, per il momento, non è neanche stato rifinanziato con risorse aggiuntive per coprire le spese dei redditi inferiori a 15mila euro. Su lavori a rischio per oltre 10 miliardi, solo una piccolissima parte verrà salvata, con un ricorso che probabilmente sarà minimo a questo fondo a causa dei criteri reddituali troppo stringenti. Per chiunque abbia un reddito superiore a 15mila euro i lavori potranno continuare nel 2024 con la detrazione al 70%, così come era già previsto.
Il rischio di contenziosi
C’è poi un altro rischio che si affaccia con le ultime modifiche: i lavori potrebbero anche essere lasciati a metà. Il decreto, infatti, prevede che si possano interrompere i lavori non ultimati, anche nel caso in cui non sia stato raggiunto un miglioramento di due classi energetiche, ovvero il requisito fondante del Superbonus. Cioè, i lavori si interrompono e non si dovrà rimborsare quanto ottenuto finora. E da qui nasce il rischio di contenziosi. Che potrebbero riguardare diversi fronti. Per esempio potrebbero nascere contenziosi da parte dei condomini nei confronti delle imprese per rivalersi dei ritardi. O da parte delle imprese per i crediti incagliati. O, ancor di più, tra le diverse famiglie di un condominio per mettersi d’accordo se fermare o continuare i lavori: le famiglie con meno problemi di reddito potrebbero essere più disposte a proseguire con il bonus al 70%, mentre chi ha meno disponibilità potrebbe rifiutarsi. Così l’intervento per ridurre il caos rischia di produrne addirittura di più.