opo due ore in video conferenza i ministri dell’Economia dell’Ue hanno raggiunto l’intesa sul nuovo Patto di stabilità. Ma quello che si può affermare con certezza è che anche questa volta l’Italia non ha toccato palla. Tutto è stato deciso da Francia e Germania. Alla vigilia dell’Ecofin il falco Christian Lindner ha deciso martedì di volare a Parigi e parlare, faccia a faccia, con il francese Bruno Le Maire.
Più che un Patto di stabilità, quello approvato ieri è un pacco. E l’ennesimo flop delle destre
Le Maire e Lindner, parlando con i cronisti prima dell’incontro, avevano dichiarato che le probabilità dell’intesa erano vicine al “100%”. E avevano disegnato quello che appariva come l’ultimo pressing sull’Italia. Tanto che da Roma le parole di Parigi e Berlino erano state accolte nel silenzio. Dall’entourage del titolare del Tesoro avevano spiegato che Giancarlo Giorgetti non avrebbe parlato prima dell’Ecofin. “Un’intesa franco-tedesca permetterà anche ad altri di dire si”, aveva sottolineato il ministro delle Finanze teutonico ribadendo quello che per Berlino resta un assioma: “La Germania non accetterà regole che non sono rigide, nel senso credibili, sufficienti ed efficienti” per il rientro del debito. Accanto a questo, aveva aggiunto, “consentiamo gli investimenti e manteniamo uno spazio fiscale per le riforme strutturali”.
E ieri Giorgetti a cose fatte ha parlato. Nel nuovo Patto di stabilità – ha detto – “ci sono alcune cose positive e altre meno. L’Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo. Abbiamo partecipato all’accordo politico per il nuovo Patto di stabilità e crescita con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi”.
Meloni finita all’angolo ci consegna al ritorno dell’austerità
Appena qualche giorno fa il titolare del Mef non avrebbe puntato un euro sul raggiungimento di un’intesa sulle nuove regole di governance economica europea nel vertice di ieri. Poi messo con le spalle al muro, a cose fatte, ha dovuto dire sì. Soddisfatto Lindner: “Le nuove regole di bilancio per i Paesi membri dell’Ue sono più realistiche ed efficaci allo stesso tempo. Combinano cifre chiare per deficit inferiori e rapporti debito/Pil in calo con incentivi per investimenti e riforme strutturali. La politica di stabilità è stata rafforzata”, ha dichiarato.
“Per la prima volta in 30 anni questo Patto di stabilità riconosce l’importanza degli investimenti e delle riforme strutturali” che saranno “essenziali nei prossimi decenni”, ha evidenziato Le Maire. Ma cosa prevedono in sostanza le nuove regole? Quando il deficit eccessivo supera il tetto del 3% l’aggiustamento annuo richiesto è dello 0,5% del Pil in termini strutturali. L’accordo prevede che il ritmo della correzione tenga conto dell’aumento della spesa per interessi al fine di non bloccare gli investimenti più urgenti. I Paesi con un rapporto debito-Pil superiore al 90% dovranno far scendere il livello del disavanzo all’1,5%.
Per farlo servirà un aggiustamento strutturale annuo dello 0,4% per quattro anni o dello 0,25% in sette anni, calcolato al netto degli interessi sul debito con l’impegno del Paese a fare investimenti e riforme. La riduzione del debito dovrà essere dell’1% annuo per i Paesi che superano la soglia di un rapporto debito-Pil del 90% e dello 0,5% annuo per chi lo ha tra il 60 e il 90% del Pil. Tra il 2025 e il 2027 la Commissione europea, nello stabilire il percorso di risanamento dei conti, terrà conto degli oneri degli interessi sul debito. I Paesi sotto procedura dovranno concordare l’uso dei fondi pubblici con la Commissione europea nel rispetto delle traiettorie di aggiustamento del debito. I piani ad hoc sono quadriennali e all’insegna della flessibilità potranno essere estesi a sette anni tenendo conto degli sforzi di investimento e riforma compiuti dai governi per attuare i Pnrr. Il commissario Ue, Paolo Gentiloni, prevede che il Patto entri in vigore nella primavera del prossimo anno.
Ieri nuovo rinvio alla Camera sul Mes. Ma le destre preparano la resa anche sul Salva-Stati
Adesso bisognerà capire cosa succederà in Italia col Meccanismo europeo di stabilità. Finora Giorgetti e la premier Giorgia Meloni hanno portato avanti la logica del pacchetto, ovvero niente Mes senza un Patto di stabilità e crescita conveniente per l’Italia. Ieri in commissione alla Camera c’è stato l’ennesimo rinvio della maggioranza in attesa di vedere come andava a finire la partita sul Patto. Rivendersi l’intesa raggiunta come conveniente per l’Italia servirebbe al governo per ratificare il Mes senza perderci la faccia.
“La Lega esprime soddisfazione per il compromesso sul Patto di stabilità annunciato dal ministro Giorgetti”, hanno fatto sapere fonti della Lega. Per Meloni “il nuovo Patto risulta per l’Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato”. Un primo segnale che sono pronti a calarsi le braghe davanti all’odiato fondo Salva-stati? Vedremo, la resa dei conti è vicina. Ma c’è chi smaschera tale tranello. “Ho sempre combattuto, quando ero al Governo, per contrastare le vecchie logiche di austerità e trasformare il ‘Patto di stabilità e crescita’ in un ‘Patto di crescita nella stabilità’. Purtroppo da un anno se ne occupa Giorgia Meloni e il suo patriottismo a chiacchiere sta rifilando all’Italia un ‘Pacco di stabilità’ che si tradurrà in un cappio al collo per il Paese. Un Patto scritto dalla Germania, comunicato ieri (martedì, ndr) dai ministri tedesco e francese, che hanno precisato che il ministro Giorgetti era ‘informato’. Tornano vincoli rigidi, parametri contabili potenzialmente prociclici, una nuova stagione di austerità”, ha dichiarato il leader M5S, Giuseppe Conte.
“A questo punto ci aspettiamo da questo esecutivo anche la ratifica della riforma del Mes, nonostante avessimo chiarito che l’Italia avrebbe completato questo processo solo quando le altre importanti riforme sarebbero state realizzate. Nulla di nulla. Con l’aggravante che dalla ‘logica del pacchetto’ siamo passati alla ‘realtà del pacco’”. Peraltro anche Meloni esprime “rammarico per la mancata automatica esclusione delle spese in investimenti strategici dall’equilibrio di deficit e debito da rispettare”. Alla fine della fiera lo scorporo dal nuovo Patto viene concepito solo per le spese della Difesa. Altro che l’agognata (dall’Italia) golden rule sugli investimenti.