Meloni torna a casa a mani vuote da Bruxelles, zero su migranti e golden rule

Meloni torna a casa a mani vuote da Bruxelles, zero su migranti e golden rule. Con lei nell'Ue l'Italia non tocca palla

Meloni torna a casa a mani vuote da Bruxelles, zero su migranti e golden rule

Un bilancio in chiaro e scuro, ha detto Giorgia Meloni al termine del vertice europeo. Un giudizio quanto meno ottimistico quello della premier italiana, perché se è vero che l’Unione europea è riuscita a battere un colpo sull’allargamento, aprendo i negoziati di adesione per Ucraina e Moldavia, è pure vero che il premier ungherese non ha ceduto sulla revisione del bilancio comunitario, bloccando sia i 50 miliardi di sostegno a Kiev sia le risorse per le altre voci del budget, come la migrazione, cara a Meloni, e l’innovazione. Se ne riparlerà l’anno che viene col prossimo Consiglio europeo.

Briciole

Ma Meloni si accontenta di una bozza. “Viene inserito nelle conclusioni a Ventisette e prevede il lavoro sulla dimensione esterna, il blocco dell’immigrazione illegale, la lotta contro i trafficanti, una più efficace politica di rimpatrio e tutta la visione che l’Italia ha contribuito a far diventare visione dell’intero Consiglio europeo”, dice. E sulle risorse vanta di aver ottenuto lo stanziamento di quasi 10 miliardi di euro, “un notevole successo considerando che non era previsto nulla”. In realtà è una bugia. Inizialmente si parlava di 12 miliardi dunque i fondi sarebbero stati ridotti e non aumentati.

E poi è tutto da vedere se i paesi frugali, disponibili solo a concedere aiuti a Kiev, daranno col nuovo anno il via libera agli altri capitoli di spesa. E poi c’è la riforma del Patto di stabilità. E qui veniamo al secondo flop. Meloni ammette che sulle regole di bilancio “le posizioni sono ancora abbastanza distanti”. Il Patto, spiega, “non è stato oggetto dei lavori” del Consiglio europeo, ci sono state interlocuzioni a margine, sono giorni di trattative, il tema è rimandato all’Ecofin.

Ma il suo ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti smorza le speranze. “Le negoziazioni sono andate avanti” ma le possibilità che si arrivi ad un accordo la settimana prossima sono “scarse”, ha detto il titolare del Mef ad Atreju. “Non ho niente contro le videoconferenze” ma “anche no” a chiudere in video un accordo “che condiziona l’Italia per i prossimi anni. Quindi un Ecofin in presenza è più opportuno”.

Respinta al mittente

Giorgetti candidamente ammette che l’agognata da Roma golden rule non ha attecchito. “Abbiamo il dovere di creare delle regole fiscali che rendano possibile raggiungere” i grandi obiettivi che l’Europa si è data, come la transizione verde e digitale, “ma questa posizione non trova consenso perché manca la dimensione politica. Si preferisce conservare le situazioni”. Gli investimenti legati agli obiettivi europei “vanno trattati in modo diverso”, ha spiegato. “Se creiamo regole che diventano un fine e non un mezzo per raggiungere gli obiettivi, abbiamo distrutto l’Europa”.

Giorgetti aveva, poi, spiegato giorni fa che di fatto un nesso tra la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità e il Patto c’è nei fatti. Ma Meloni che ha tormentato tutti con la logica del pacchetto ieri ci ha spiazzati dicendo che il “link” tra Mes e Patto di stabilità lo “vedo solo nel dibattito italiano. Sicuramente per noi fa la differenza sapere quale sia il Patto di cui disponiamo, ma non c’è una dimensione di ricatto, nel dire ‘se non mi dai questo non faccio questo’. Non l’ho vista, nessuno ha mai posto la questione così”.

E se poi Meloni prova a ridimensionare le minacce (rivolte soprattutto a Berlino) di veto sulla riforma del Patto, il suo alleato Matteo Salvini le rompe le uova nel paniere. “Se ci saranno le condizioni il governo firmerà, se sarà una trappola no”, ha affermato il vicepremier leghista.