Non ci sta Viktor Orbán: il premier ungherese ha bloccato i 50 miliardi di euro di aiuti Ue per l’Ucraina, dopo che è invece arrivato l’ok dei leader europei all’apertura dei negoziati per l’adesione di Kiev all’Unione europea, nonostante la contrarietà dell’Ungheria.
Al termine della prima giornata di lavori, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, aveva assicurato che “gli ucraini possono contare sul nostro sostegno”, perché “c’è un ampio accordo politico a 26”. Ma le cose sono più complicate di così, come dimostrano le parole di Orbán.
Il premier ungherese dice chiaramente che vuole i fondi europei previsti per l’Ungheria bloccati per le violazioni dello Stato di diritto. E senza quei soldi, assicura, non darà il via libera al pacchetto di aiuti per l’Ucraina. Così per gli aiuti la strada si fa in salita.
Orbán si piega sull’adesione dell’Ucraina all’Ue
Orbán, d’altronde, aveva già dovuto ingoiare un primo rospo sull’adesione di Kiev. Alla fine si è piegato. Il Consiglio europeo ha deciso di aprire i negoziati di adesione con l’Ucraina. L’annuncio è arrivato tramite i suoi canali social dal presidente Michel. Alla decisione “nessuno ha obiettato”, hanno segnalato fonti europee.
“È una decisione presa dal Consiglio europeo che non è stata bloccata da alcuno Stato”. Immediata la reazione di giubilo di Kiev. “Questa è una vittoria per l’Ucraina. Una vittoria per tutta l’Europa. Una vittoria che motiva, ispira e rafforza”, ha scritto sempre sui social il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Il Consiglio europeo ha deciso di aprire anche i negoziati con la Moldavia e di concedere lo status di Paese candidato alla Georgia. Mentre i balcani dovranno ancora attendere.
“L’Ue aprirà i negoziati con la Bosnia-Erzegovina una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione e ha invitato la Commissione a riferire entro marzo in vista di tale decisione”, ha spiegato Michel. “I leader hanno deciso di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldavia e di concedere lo status di candidato alla Georgia. Una decisione strategica e un giorno che rimarrà impresso nella storia della nostra Unione. Orgogliosi di aver mantenuto le nostre promesse e felici per i nostri partner”, ha commentato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
Contro l’ingresso di Kiev si opponeva il premier ungherese. Che ha dovuto ingoiare il rospo. Orbán non era presente nella sala del Consiglio europeo quando è stata tenuta la votazione sull’allargamento. Ha notificato la sua assenza a Michel e non ha delegato nessun altro leader a rappresentarlo, né per dare un suo assenso né per un dissenso. Quindi è stato considerato come “non votante” e la decisione è stata considerata legalmente valida.
Parole al vento
L’ok al negoziato per l’adesione dell’Ucraina alla Ue “è una pessima decisione” e “l’Ungheria non vuole partecipare a questa cattiva decisione”, ha scritto il primo ministro ungherese. Che a parte le dichiarazioni di guerra si è di fatto piegato. Come e perché è presto detto. A convincere Orbán è stato lo sblocco dei 10 miliardi di fondi strutturali (non tutti quelli previsti, che sono circa 20) che erano stati congelati dalla Commissione europea a suo tempo per le mancanze sullo stato di diritto di Budapest. Ed è stata questa l’argomentazione usata da Michel, von der Leyen, Olaf Scholz ed Emmanuele Macron con Orbán.
Di certo non lo ha convinto la sua amica Giorgia Meloni. Che dopo aver consumato champagne e vino rosso con il presidente francese e il cancelliere tedesco, nella notte tra mercoledì e giovedì, alla vigilia del Consiglio europeo, in una saletta del bar dell’Hotel Amigo, nel centro di Bruxelles, non è stata successivamente invitata all’incontro che si è tenuto appunto ieri mattina tra Michel, von der Leyen, Scholz, Macron e Orbán.
Una nota di Palazzo Chigi si è subito affrettata a spiegarci che anche la Meloni prima dell’inizio dei lavori del summit aveva incontrato Orbán. E una seconda nota sempre da Chigi ha ribadito che per la premier gli incontri che aveva avuto in queste ultime ore riflettono un “metodo che conferma quanto sottolineato dallo stesso presidente Meloni in occasione delle comunicazioni in Parlamento quando ha affermato che fare politica estera vuol dire parlare con tutti”. Ricordandoci che Meloni ha avuto incontri con la presidente della Macedonia del Nord Vjosa Osmani nella serata di mercoledì, con Macron e Scholz nella notte e quindi ieri mattina con Orbán. L’esclusione però dal vertice dei massimi rappresentanti dell’Europa con il primo ministro dell’Ungheria nascondeva più di un motivo.
Da Orban a Zelensky, gli imbarazzi di Meloni
Meloni ha un canale privilegiato con Orban e ha sempre cercato di barcamenarsi con un certo imbarazzo tra lui e Zelensky. Mentre Meloni infatti ha continuato a sostenere la bontà dell’allargamento dell’Europa a Kiev e il suo governo si prepara a inviare l’ottavo pacchetto di armi all’Ucraina – il ministro della Difesa Guido Crosetto riferirà su questo al Copasir il 19 – il suo amico Orban si ostinava a opporsi all’ingresso di Zelensky.
Fino a ieri mattina il premier magiaro dichiarava che “l’allargamento non è una questione teorica, è un processo basato sul merito, giuridicamente dettagliato, che ha delle pre condizioni, ce ne sono sette per l’Ucraina e anche nella valutazione della Commissione europea tre su sette non sono state raggiunte, per cui non c’è motivo per negoziarla”. Poi la resa. E benché la Meloni si affretti a esprimere grande soddisfazione “per i concreti passi avanti nel processo di allargamento raggiunti al Consiglio europeo per Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia Erzegovina”, spiegando che “si tratta di un risultato di rilevante valore per l’Unione Europea e per l’Italia, giunto in esito ad un negoziato complesso in cui la nostra Nazione ha giocato un ruolo di primo piano”, noi sappiamo qual è la reale versione dei fatti.