Fanalino di coda per aspettativa di vita, con una prospettiva di due anni in meno rispetto alla media delle altre regioni italiane, ai primi posti per povertà sanitaria, calcolata sul numero di contribuenti che rinunciano alle cure per il loro stato di indigenza, la Campania si candida ora a inanellare l’ennesimo primato negativo: diventare la regione che distribuisce più fondi tra i privati accreditati, ma che al contempo registra la minore capacità di spesa di risorse dirette al sistema pubblico. Un paradosso che si fa presto a declinare in cifre.
Fallito il piano della Regione Campania per ridurre le liste d’attesa. Ma i centri convenzionati hanno assorbito 73 milioni
Sono stati 73 i milioni di euro stanziati dalla Regione Campania nel 2020 per il recupero delle prestazioni accumulate durante la prima fase pandemica. Solo un terzo dell’intera quota è stata però utilizzata e quasi esclusivamente da erogatori privati. La restante parte, pari a 47 milioni e destinata in prevalenza alla spesa delle aziende sanitarie, è rimasta su carta alla voce “intenzioni e annunci”. E mentre si aggiungono pagine a pagine nelle agende sempre più piene di nomi di pazienti “in fila”, la Regione ha ben pensato di rimettere mano a quel tesoretto di 47 milioni rimasto in cassa, facendo un bel regalo alle cliniche private. La redistribuzione prevista dal nuovo piano regionale per il recupero delle liste d’attesa, infatti, è così ripartita: 21 milioni e 985mila euro alle aziende sanitarie pubbliche, mentre la differenza, pari 25 milioni e 314mila euro, andrà alle strutture accreditate.
Un piano “anti-code”, come lo definiscono negli uffici della Regione, a cui va ad aggiungersi il residuo del budget del 2020, per altri 15 milioni di euro. C’è un timing, però. I fondi vanno utilizzati entro il 31 dicembre o sarà necessario riprogrammarli. La strada è dunque in salita e di terreno da recuperare ce n’è ancora tanto. L’ultimo bilancio l’ha tracciato il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, in commissione Affari Sociali alla Camera, dove ha ricordato che “la Campania ha utilizzato meno del 50 per cento del finanziamento e recuperato meno del 50 per cento delle prestazioni”. Nella perpetua attesa, con i tetti di spesa mensili fissati per le strutture private, che si esauriscono spesso già prima della metà del mese, o i cittadini che pagano di tasca propria visite e prestazioni di qualunque genere, o sono costretti ad attendere tempi talvolta biblici. Salvo rinunciare del tutto alle cure.
“Il fenomeno delle liste d’attesa della Campania rappresenta una bomba ad orologeria pronta ad esplodere in aggressioni ai danni del personale sanitario”, dice Manuel Ruggiero, medico del 118 e presidente dell’associazione “Nessuno tocchi Ippocrate”. “Anche io – rivela Ruggiero – sono stato personalmente vittima delle lungaggini sanitarie. Un mese fa ho prenotato una visita oculistica per mia figlia di 4 anni e la prima data utile è stata agosto 2024. Bisognerebbe dare un potere decisionale più incisivo ai direttori generali, trincerati spesso dietro le dichiarazioni del governatore De Luca, che si ostina a dipingere una sanità diversa da quella che vediamo e viviamo”.
Per una visita cardiologica servono sei mesi e almeno dieci per un controllo oculistico
Per la vicepresidente del Consiglio regionale della Campania, Valeria Ciarambino, “serve un monitoraggio serrato sull’efficacia organizzativa dell’offerta pubblica e sul rispetto degli impegni assunti dai direttori generali, a cui il presidente De Luca ha voluto assegnare come obiettivo prioritario proprio la riduzione delle liste d’attesa. E non mi pare che l’obiettivo sia stato raggiunto, come ha evidenziato anche la Corte dei Conti. La bassissima produttività negli ambulatori pubblici – ha proseguito ancora Ciarambino – non trova alcuna giustificazione, visto che nell’ultimo anno hanno potuto giovare di risorse sia economiche che umane, con tantissime assunzioni che sono state fatte. Uno schiaffo in faccia a quei cittadini che non potendo permettersi il lusso di pagare esami dai privati, si vedono negato il diritto alla salute”.
“Anche quest’anno una buona fetta di soldi pubblici sarà destinata al privato accreditato”, ha dichiarato Antonio Elisei, del sindacato degli infermieri Nursind, secondo cui “è necessario mettere mano a piani triennali del fabbisogno che soddisfino il giusto equilibrio delle risorse da mettere a disposizione, a cominciare dal personale medico e infermieristico. Non si può più consentire che a pagare sulla propria pelle siano sempre e soltanto i cittadini”. Cittadini come lo stesso Eliseo, infermiere e padre, che racconta: “Un mese fa ho prenotato una visita cardiologica per mia figlia. Potrà effettuarla non prima di aprile 2024”. Sei mesi di attesa per una visita al cuore.