Più che una questione morale è una questione normale quella che ha posto il presidente dei 5 Stelle, Conte, chiedendo alla premier Meloni di non fare il pesce in barile di fronte ai casi Santanchè, Delmastro, Sgarbi, Gasparri, Lollobrigida e Durigon.
Lasciamo perdere perciò le denunce di Berlinguer, ma anche di Almirante, e le ruberie di Tangentopoli, perché l’accostamento al disfacimento della Prima Repubblica fa sembrare quisquilie le prodezze di familiari, affini e alleati della Presidente del Consiglio, mentre il contesto è persino più grave. All’epoca, infatti, la pressione della stampa, prima ancora che le inchieste giudiziarie, spingeva i titolari di cariche pubbliche beccati con le mani nella marmellata a farsi quasi sempre da parte per preservare l’onore e il rispetto delle istituzioni.
Oggi, invece, non mollano la poltrona neppure se li beccano platealmente a farsi i fatti loro. Anzi, questa bella gente più viene svergognata più fa la vittima, farneticando di macchine del fango o intimidendo con le querele i giornali che portano alla luce comportamenti indebiti, conflitti d’interesse e malaffare.
Perciò il silenzio della Meloni sulle faccende imbarazzanti dei suoi ministri e sottosegretari, insieme a Gasparri, è grave quanto lo scaricabarile di Craxi sui mariuoli del suo partito, perché legittima quei comportamenti e ne incoraggia l’emulazione. Certo, il leader socialista si arrampicò poi sugli specchi dicendo – sfidando il ridicolo – di non essersi accorto di nulla. Ma Giorgia è da tempo che è avvisata. E chi non vede un tale schifo è solo perché non vuole.