Le violenze sulle donne sono in aumento, ma secondo me cresce il livello generale di violenza in tutta la società, non solo sulle donne.
Anita Mercuri
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Gentile lettrice, non ho statistiche per confermare o smentire, ma empiricamente ritengo che lei abbia ragione. L’abuso maschilista è un aspetto della violenza più generale nella società: non è un “unicum” ma una parte del tutto. La violenza, il sopruso del più forte contro il più debole, prende piede soprattutto perché si sono sgretolati valori che davamo per scontati. Il dilagare del consumismo nella “società opulenta”, come la chiamò John Galbrait, cancella i valori umanistici, specie nei giovani, immersi nei vari TikTok e nutriti con spinte alla ricchezza e al possesso materiale, incluso il possesso del corpo femminile. È quanto ho sostenuto il 25 novembre, giornata mondiale sulla violenza alle donne, partecipando a un dibattito ad Alba Adriatica, una cittadina dell’Abruzzo. Si presentava il bellissimo e terribile romanzo autobiografico di Claudia Saba, “Era mio padre”, una storia vera di abusi in famiglia. Al termine, il sindaco Antonietta Casciotti mi ha detto che condivideva le mie tesi sulla viltà di chi sa o vede ma non denuncia: “La colpa per me è delle famiglie. Ai figli insegnano: ‘Fatti i cavoli tuoi, non t’impicciare dei problemi degli altri’”. Farsi i cavoli propri significa appunto omertà, complicità. Ci sono tante proposte per educare i giovani nelle scuole, ma forse bisognerebbe educare tutti, anche gli adulti. E invece di fare campagne contro la violenza sulle donne, si facciano contro la violenza tout court: è lì la radice.
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