Ogni volta che critico Israele, qualcuno mi accusa di antisemitismo. Ma se critico Macron, nessuno dice che sono “antifrancese”. È sempre così: due pesi e due misure.
Lino Dardi
via email
Gentile lettore, da lungo tempo l’Occidente soggiace a una perfida propaganda allestita dal sionismo, che è l’ideologia portante di Israele. Dicevo giorni fa che il termine “antisemita” andrebbe sostituito con “antiebraico”, perché il semitismo è composto da mezzo miliardo di arabi e solo 8 milioni di israeliani. E tuttavia i sionisti reclamano l’esclusiva del termine, perché quella connotazione razziale nutre la narrativa di “eterni perseguitati”. Nessuno nega ovviamente che gli ebrei furono discriminati per secoli nella cristianità e perseguitati dal regime hitleriano. Tutto questo però è finito da quasi un secolo, eppure la narrativa dei “perseguitati” è utile per suscitare il senso della colpa e del debito. Molti ebrei critici la chiamano “la carta dell’olocausto”. Giorni fa mille intellettuali ebrei hanno firmato una lettera in cui affermano che “criticare Israele non è antisemitismo”. Lo si sapeva, ma ora, dopo le inumane stragi a Gaza, la truffa ideologica è esplosa ed è arrivata al grande pubblico. Per la prima volta il Mago di Oz, che da Tel Aviv manovra l’informazione occidentale, si è visto smascherato. Mi auguro che nell’opinione pubblica si sedimenti il concetto che non è tutto oro ciò che luccica, specie se a vendere l’oro è gente che prospera grazie a quella che il prof. Norman Finkelstein, americano, ebreo e discendente di vittime del nazismo, in un suo libro famoso chiama “L’industria dell’olocausto”.
Inviate le vostre lettere a: La Notizia – 00195 Roma, via Costantino Morin 34 redazione@lanotiziagiornale.it