I suoi occhi pieni di speranza e avidi di futuro, quel volto sorridente che sfidava la vita con l’entusiasmo della giovane età, probabilmente non ancora usurpato dai dolori della vita, che ha incontrato l’indicibile barbarie del femminicidio. Giulia è diventata emblema del dibattito nazionale sulla persistenza o meno del patriarcato, così come dell’efficacia dell’apparato normativo a tutela di noi donne troppe volte non garantite dallo Stato, come la sorella di Giulia – nella sua tagliente lucidità non contaminata dalla sofferenza – ha voluto dirci.
Lega e FdI piangono la morte di Giulia Cecchettin. Ma votarono No alla Convenzione di Istanbul
Del resto, sono anni in cui occupiamo salotti televisivi con parole che hanno sempre il sapore di una vacua retorica, trovando in una società che non vuole e non sa cambiare il più grande colpevole. Dal 1981, quando è stato abrogato il delitto d’onore assieme al matrimonio riparatore, di passi in avanti in termini di riconoscimento della piena parità di genere ne sono stati indubbiamente fatti. Eppure una forza oscura, sotterranea, anima le azioni della collettività con il pregiudizio implicito che la vita di una donna in fondo valga sempre un po’ meno di quella di un uomo. Il che giustifica il gender gap in tutte le sue variegate declinazioni: dall’accesso a posizioni di potere (sfondamento soffitto di cristallo) alla parità salariale tra uomo e donna a fronte di stesse competenze e mansioni, così come l’automatismo della gestione complessa tra famiglia e lavoro che vede la donna portare sulle spalle il peso maggiore.
E, se hai la fortuna e il merito di riuscire a brillare in una posizione sociale-economica che può far gola a un uomo, il rischio è che questo accenda una competitività che ha la natura di un attentato alla virilità, macchia ancora oggi socialmente inaccettabile. Il DDL contro la violenza di genere arrivato oggi al Senato con procedura d’urgenza dettata dalla mediaticità della morte di Giulia, servirà davvero a qualcosa? Difficile dimenticare quando nel 2019 si parlava del Codice Rosso come del grande spartiacque legislativo che avrebbe tutelato noi donne. Eppure, siamo qui a piangere le tante Giulia che affollano la cronaca più nera che possa esserci.
Finalmente, si arriva a parlare di “educazione sentimentale”, bene. Ma allora perché solo fino a qualche mese fa, precisamente maggio 2023, le forze che oggi siedono al governo – precisamente Lega e Fratelli d’Italia – come la Turchia di Erdogan, si sono mostrati contro la Convenzione di Istanbul, il primo trattato internazionale legalmente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza di genere e domestica. Gli eurodeputati dei due partiti di governo hanno preferito astenersi e non appoggiare le due risoluzioni del Parlamento europeo, che chiedono l’adesione al trattato da parte dell’Unione europea.
La grande domanda è: perché? Paura che potesse saltar fuori dalla sensibilizzazione culturale promossa dalla Convenzione di Instanbul la pericolosissima teoria gender con la quale si sarebbero indottrinati i bambini. E allora, anziché rendersi virtuosi promotori di una rivoluzione culturale, bene prendersela con le madri non normali dei maschi violenti. Come qualche illustre esponente della Lega ha sostenendo in questi giorni, ignorando che l’educazione non debba essere solo a carico della mamma (anche noi donne abbiamo introiettato il patriarcato, evidentemente) e come la normalità sia un concetto estremamente pericoloso da maneggiare.