C’era un tempo in cui in Italia qualsiasi processo per mafia, qualsiasi arresto, qualsiasi condanna erano ingredienti utili per cucinare le prime pagine dei giornali. Erano bei tempi, quando la mafia sembrava davvero una lotta trasversale e i cittadini erano incuriositi da ciò che accadeva. Ieri è stato il giorno dopo di una sentenza storica che ha delineato la peggiore delle mafie, la più forte in questo momento, la ‘Ndrangheta, e i giornali nostrani hanno riportato la notizia con una cronaca stanca. A parte rare eccezioni, a cominciare da questo giornale, che ha dedicato alla sentenza del processo Rinascita Scott l’apertura di prima pagina.
Verdetto storico su mafia e politica. Ma il processo Rinascita Scott sul Corriere finisce a pagina 21. Sul Giornale duemila anni di carcere raccontati come un regalo alla Procura
Il Corriere della Sera riporta la notizia a pagina 21, mettendo in evidenza i 34 mesi trascorsi dal giorno della prima udienza alla sentenza dell’altro ieri. Sempre nella ventunesima pagina c’è la notizia anche sul quotidiano La Stampa. La mafia in Italia ormai è diventata una semplice cronaca nera, solamente un po’ già spessa e forse sistemica. Notevole Il Messaggero: nel suo articolo dedicato al processo Rinascita Scott sottolinea fin dal titolo che la notizia consisterebbe nel fatto che sia stato “assolto un imputato su tre”. I 200 condannati sono un particolare disturbante che va raccontato come assolutamente secondario. Non scherza, come al solito, pure Il Giornale: “Gli 11 anni a Pittelli (FI) ultimo regalo a Gratteri”, titola. La condanna di un uomo di spicco della politica berlusconiana poi passato alla corte di Giorgia Meloni è semplicemente la leva per attaccare un procuratore che alla luce della sentenza ha fatto più che bene il proprio lavoro.
In un Paese normale – democraticamente e giornalisticamente credibile – il titolo de Il Giornale sarebbe (com’è) un’accusa ai giudici che dovrebbe fare saltare sulla sedia tutto il sistema politico, ministro della Giustizia Carlo Nordio in primis. Tant’è che risulta quasi rivoluzionario il quotidiano cottolico Avvenire che nel titolo sottolinea come tra i condannati ci sia anche “un ex deputato”. Badate bene: l’avvocato Giancarlo Pittelli non è un deputato qualsiasi, si tratta di uno degli uomini più forti del berlusconismo quando era all’apice. Ma la notizia non sembra essere una notizia.
Sulla stessa linea è l’Unità: “Mezza vittoria per Gratteri, ottiene lo scalpo di Pittelli”, è il titolo. L’articolo di Paolo Comi non è da meno: “Nicola Gratteri ha vinto a metà. La maxi condanna ad 11 anni di prigione per l’ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli ‘puntella’ una inchiesta che correva il serio rischio di finire in un flop clamoroso”, si legge. Ampio spazio poi ai legali di Pittelli (l’avvocato Gian Domenico Caiazza insieme ai colleghi Salvatore Stoiano e Guido Contestabile) che dichiarano: “Pittelli viene condannato per quello stesso reato rispetto al quale solo pochi mesi fa la Cassazione prima, ed il Tribunale per il Riesame subito dopo, avevano escluso la sussistenza anche solo di indizi gravi di colpevolezza”, “Tanto basta a far comprendere, a tutti coloro che abbiano la onestà intellettuale di volerlo fare, quanto questa condanna fosse ad ogni costo indispensabile per salvare la credibilità della intera operazione investigativa Rinascita Scott. Sono dinamiche che abbiamo drammaticamente imparato a conoscere in altri clamorosi casi giudiziari, a cominciare da quello di Enzo Tortora”, ha aggiunto Caiazza, ricordando anche che da quei casi giudiziari “abbiamo imparato che, alla fine, l’innocenza dell’imputato verrà riconosciuta, seppure con imperdonabile ritardo, e dopo aver causato danni incommensurabili”.
Pittelli è “il nuovo Tortora” e Gratteri fallisce anche quando gli imputati vengono condannati
Insomma, Pittelli è “il nuovo Tortora” e Gratteri fallisce anche quando gli imputati vengono condannati. La mafia scompare, quando c’è è irrilevante o frutto di decisioni sbagliate. Quindi come si può pensare di provare a sconfiggerla?