Jannik Sinner ha perso la finale con Djokovic, ma fa lo stesso. Finalmente abbiamo un campione ai vertici mondiali del tennis.
Livio Turri
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Gentile lettore, sì, era ora che un italiano tornasse alle vette dopo decenni d’assenza. L’avevo molto desiderato, anche perché da giovane praticai un po’ il tennis, che mi ha dato qualche soddisfazione. i miei punti deboli erano il servizio, il diritto, il rovescio, le palle liftate, la volée, il gioco sotto rete e il palleggio da fondo campo. Il mio punto forte era la bibita gelata che bevevo dopo la partita: lì ero quasi imbattibile. Ma bando alle nostalgie. Mi sono sempre chiesto perché da decenni mancasse un italiano ai vertici, mentre spagnoli, svizzeri, serbi, russi, ecc. facevano man bassa. I ritiri di Pietrangeli e Panatta forse depressero il vivaio per mancanza di un idolo nazionale. Ma non credo che basti come spiegazione. Il fatto è che il tennis è sport individuale e quindi c’è bisogno che nasca l’individuo giusto. Sinner mi piace come persona e come giocatore. Di carattere modesto, di famiglia modesta (padre cuoco, madre cameriera), a 22 anni è animato da spinte che sembrano lontane da quelle dei suoi coetanei. “Non gioco per i soldi, ma per trovare la versione migliore di me stesso” ha detto. È un italiano di confine, in senso geografico e caratteriale. E poi quel fisico, che sembra esile e invece è una spada affilata. Ma gioca per lo più con la testa, come uno scacchista: legge la situazione, cambia strategia in campo, studia sé stesso e l’altro. Con Djokovic gli era riuscito di vincere, appena due giorni prima. Ma ci saranno altre finali.
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