Il premierato ancora non esiste, almeno su carta. Perché nei fatti siamo già ben oltre. A dimostrarlo è il ruolo del Parlamento negli ultimi mesi, ormai svuotato di ogni potere. Lo abbiamo visto con la manovra, sulla quale neanche la maggioranza – caso più unico che raro – può presentare emendamenti. Lo vediamo da tempo, guardando ai lavori delle due Camere, intasate da decreti legge governativi da approvare, con un mero ruolo da passacarte per i parlamentari. E lo stiamo vedendo, stando alle accuse delle opposizioni, anche con il memorandum tra Italia e Albania sui migranti.
Un’intesa siglata dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con il premier di Tirana, Edi Rama, di cui nessuno conosce il testo e che non è mai stata trasmessa al Parlamento. E che non verrà neanche valutata da deputati e senatori. Motivo per cui le opposizioni (con la ormai consueta eccezione di Italia Viva) hanno scritto al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, per chiedere di “compiere tutti i passaggi necessari affinché l’accordo tra Italia e Albania sia trasmesso alle Camere”.
La lettera a Fontana sull’accordo tra Italia e Albania
Pd, Movimento 5 Stelle, Azione, Alleanza Verdi-Sinistra e Più Europa hanno chiesto a Fontana di fare in modo che “le prerogative del Parlamento siano compiutamente rispettate”. La lettera è stata proposta dal segretario di Più Europa, Riccardo Magi, e sottolinea come l’articolo 80 della Costituzione prescriva che “gli accordi internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari”, debbano essere “sottoposti alla ratifica del Parlamento”.
Un controllo “doveroso” sulle scelte “delicate” di politica estera. La lettera è firmata anche dai capigruppo di Pd, M5s, Avs e Azione, che ricordano come la richiesta sia stata avanzata durante la riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo il 13 novembre. Per le opposizioni è necessario che i membri del Parlamento vengano “messi in condizione di conoscere in modo completo il testo dell’accordo per verificare in che misura abbia le caratteristiche richieste dal citato articolo 80” della Costituzione. La tesi di Magi è che il memorandum con Tirana necessiterebbe di due ddl governativi: uno per la ratifica e un altro per modificare la legge sull’immigrazione.
Memorandum con l’Albania, il pressing in Parlamento
Altra questione sollevata è quella riguardante le prerogative dei parlamentari, tra le quali c’è anche quella di andare in ispezione nei centri per migranti. In questo caso, trattandosi di un territorio stranieri, quali saranno le procedure? “Mi occorrerà – si chiede il deputato – un visto dell’Albania per visitare un centro che è territorio italiano?”. La protesta si è spostata anche in commissione Affari costituzionali, dove l’ostruzionismo delle opposizioni ha bloccato l’iter del decreto Cutro 2, mentre veniva chiesta l’audizione (in attesa di risposte dal Viminale) del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. L’esame del decreto prosegue a rilento proprio per l’ostruzionismo, tanto che l’approdo in Aula a Montecitorio slitterà a venerdì 24 novembre, considerando due giorni in più rispetto al precedente calendario.
Nel frattempo il presidente della Camera ha comunicato durante la riunione dei capigruppo che chiederà chiarimenti al governo sull’accordo sulla base della legge 839/84, per la quale il ministro degli Esteri è sempre tenuto a comunicare al Parlamento la natura degli accordi internazionali. Il primo risultato concreto ottenuto dalle opposizioni è la calendarizzazione, per il 21 novembre (alle ore 11) delle comunicazioni alla Camera sul memorandum tra Italia e Albania da parte del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Proprio il vicepresidente del Consiglio, però, continua a sostenere che l’accordo non debba passare per il Parlamento, non essendo previsto un trattato.
Oltre i confini
La questione è stata sollevata anche fuori dai confini italiani. In Ue a intervenire è stata la commissaria agli Affari Interni, Ylva Johansson: rispondendo a una domanda in conferenza stampa ha spiegato che, stando alla valutazione preliminare di Bruxelles, l’intesa “non viola il diritto comunitario, ma è al di fuori di esso”. Non è, insomma, una materia di cui si può occupare l’Ue. La valutazione preliminare del servizio giuridico della Commissione si sofferma su un punto, cioè sul fatto che l’intesa tra Roma e Tirana si applica a tutti i soccorsi effettuati da navi italiane in alto mare, ovvero non all’interno delle acque territoriali italiane ed europee.
Proprio per questa ragione l’accordo viene ritenuto al di fuori del diritto di asilo comunitario. La Commissione considera anche un’altra possibilità, compresa nel memorandum, quella in cui un cittadino di un Paese terzo richieda asilo in uno Stato extra-Ue, come l’Albania. Questa richiesta può avvenire solamente in uno spazio in cui il Paese Ue ha una giurisdizione extra-territoriale, come i consolati. Rimanendo al di fuori dei confini italiani, e in questo caso anche europei, c’è un altro Paese che chiama in causa l’accordo tra Italia e Albania sui migranti: è la Gran Bretagna, con il nuovo ministro dell’Interno, James Cleverly, che afferma che Roma sta seguendo l’esempio di Londra con il Ruanda.
Il ministro ha risposto sul tema in Parlamento dopo che la Corte Suprema ha dichiarato illegale la deportazione verso il Ruanda dei migranti. Cleverly cita alcuni Paesi che stanno esplorando un modello simile al Regno Unito, tra cui l’Italia nel suo accordo con l’Albania. Come dimostra la decisione della Corte Suprema britannica, sembra proprio che quello di Londra non sia il miglior esempio da seguire. Come sottolinea Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione di Arci nazionale, il caso britannico evidenzia una “battuta d’arresto alle politiche di esternalizzazione europee”: la decisione della Corte Suprema “indica una strada opposta” anche rispetto a quella che sta percorrendo l’Italia con Tirana. Smentendo pure, a giudizio di Miraglia, le politiche europee che di recente hanno portato all’accordo con la Tunisia.