Malgrado prosegua da diciannove mesi, la guerra in Ucraina fa sempre meno notizia sui social. E pure le vicende della Palestina cominciano a perdere interazioni, dimostrando meno interesse da parte dei frequentatori della rete. Domenico Giordano, amministratore e data strategist di Arcadiacom.it, che sta succedendo?
“Partiamo da una premessa ossia che il nostro habitus comportamentale nell’infosfera digitale è ormai acquisito e cristallizzato. Tanto da follower quanto da utenti ci facciamo immediatamente trascinare all’interno di alcune discussioni, soprattutto quelle che hanno una forte matrice emotiva e morale che provoca indignazione. Ma altrettanto velocemente siamo propensi ad abbandonare quel tema che fino a poco prima aveva catturato la nostra attenzione. In altre parole ci innamoriamo e ci disinnamoriamo con estrema rapidità di un argomento e subito dopo ci interessiamo ad altro. Nel caso di specie del doppio conflitto, quello russo-ucraino e quello tra Israele e Hamas, guardando al parlato digitale è emerso che il primo conflitto non attira più l’attenzione se non nei casi in cui accade qualcosa di particolarmente orribile e tutta l’attenzione digitale sulle piattaforme social, sui siti e sui forum, si è spostata verso gli accadimenti tragici iniziati il 7 ottobre scorso con l’attacco di Hamas”.
Che cosa ci dice il fatto che le discussioni relative al conflitto mediorientale avvengono soprattutto sui forum?
“Abbiamo rilevato che nel conflitto tra Israele e Hamas, guardando al parlato digitale, ossia alle discussioni online, una quota molto importante si sviluppa sui forum. Questo avviene perché sui forum, grazie al maggior anonimato, c’è maggior libertà nel prendere posizione sui diversi argomenti e quindi si può parteggiare per Israele o per Hamas senza sentirsi giudicato dalla propria bolla social”.
Dalla sua analisi emergono segni di stanchezza nei confronti della guerra mediorientale?
“Sì, già si vedono segni di stanchezza. Guardando alla linea temporale dell’engagement si vede che già nei primi giorni successivi all’attacco del 7 ottobre, l’attenzione è calata sensibilmente. Poi è ripreso a fine ottobre con un secondo picco, anche se ben lontano dal valore raggiunto dal precedente, tra il 27 e il 28 ottobre scorso. Questo picco lo abbiamo incasellato all’interno della polemica nata dal post di Zerocalcare in cui ha rinunciato a partecipare al Lucca Comics per via del patrocinio dell’ambasciata di Israele”.
Rileva differenze nell’attenzione degli utenti sul conflitto ucraino e quello mediorientale?
“Nel conflitto ucraino gli utenti non vedevano l’ora di manifestare indignazione, soprattutto nelle prime settimane, e l’attenzione è risultata più alta rispetto a quella vista nel conflitto mediorientale. Una dinamica che è stata favorita anche dalla presenza nel conflitto tra Russia e Ucraina di una polarizzazione a cui hanno preso parte influencer e brand. Si tratta di scelte che le grandi aziende hanno fatto non necessariamente perché condividono la battaglia ideale in corso ma perché volevano preservare la loro reputazione dall’attacco dei follower. Da non sottovalutare anche che nel conflitto ucraino si è imposto Zelensky come influencer capace di generare attenzione. Al contrario nel conflitto mediorientale né Hamas né Israele hanno espresso figure capaci di catalizzare l’attenzione”.
Per gli utenti i media stanno raccontando con imparzialità il conflitto?
“La risposta è nei dati. Nel conflitto russo-ucraino la quota maggiore di parlato arrivava dalle discussioni sulle piattaforme social e da quelle sui siti di informazione. Invece nel caso della guerra mediorientale abbiamo notato come il 10% del parlato digitale proviene dai forum e questo può essere spiegato con una certa diffidenza degli utenti nel prendere per buono il racconto che viene dai media mainstream”.