Legambiente ha pensato di utilizzare l’efficace immagine di una partita a Monopoli per descrivere l’imprevedibile cambio di passo, l’avanzata e la retrocessione sulle caselle del tabellone, che il noto gioco e la politica del Ministro Musumeci paiono condividere riguardo alla gestione dell’emergenza Campi Flegrei.
A proposito dei Campi Flegrei il ministro della Protezione civile Musumeci ha già fatto molti danni. Penalizzando il turismo e i cittadini
Nel giro di poche ore si è passati dalla valutazione del rischio come “giallo”, passando drammaticamente all’”arancione”, salvo poi rasserenare la popolazione con un repentino ritorno al color limone. La pericolosità attribuita ai fenomeni di bradisismo è direttamente proporzionale all’intensificarsi della gradazione cromatica, quindi non risulta difficile intuire quale panico abbia generato questa giravolta comunicativa negli abitanti e nei turisti che, spinti dalla straordinarietà storico-naturalistica del patrimonio territoriale, continuano a individuare come meta dei propri viaggi quelle stesse aree. La lezione che dovrebbe aver impartito il Covid alla comunità politica è duplice e può essere trasferita, con tutte le opportune declinazioni settoriali (qui si parla di ambiente e urbanistica, non di salute e sanità pubblica), proprio ai Campi Flegrei.
Innanzitutto che la prevenzione non può essere fatta a emergenza in corso (a ogni euro investito nella realizzazione di piani di sicurezza, ne rispondono in media tre o quattro risparmiati in danni) e che la comunicazione delle emergenze non è un semplice aspetto formale, ma è esso stesso parte integrante della gestione politica. Quando i sindaci imputano al ministro per la Protezione civile di aver fatto più danni delle scosse telluriche con le sue affermazioni premature e non aderenti alla realtà, non lo fanno per il gusto della polemica sterile ma perché – stando sul campo – conoscono bene i funesti effetti generati da allarmismi che nulla hanno a che fare con la prudenza e la sicurezza, ma che piuttosto consistono in una sconsiderata e illegittima assunzione da parte della politica di competenze tecniche che evidentemente non ha.
Non a caso vengono istituite cabine di regia con illustri esperti ben retribuiti per la loro professionalità. Inoltre, il nostro Paese ci ha tristemente abituati alle difficoltà delle “ripartenze”: la pandemia e le catastrofi idrogeologiche derivanti dal cambiamento climatico e dall’inadeguatezza nel farvi fronte, sono esempi di come mettere in moto la macchina della ricostruzione non sia solo oneroso economicamente ma necessiti di una visione politica lontana dalla lotta partitica per l’accaparramento delle varie poltrone da “commissario” e di controlli stringenti sull’uso delle risorse pubbliche le cui maglie si sono drammatiche allargate con il nuovo codice degli appalti in nome di un “facciamo presto” che troppe volte si traduce in un “facciamo male”.
Possiamo dunque dire con un buon grado di probabilità che alla misurazione della capacità del governo di affrontare operativamente le emergenze il colore corrispondente è: il rosso. Pericolosità massima, necessità di vie di fuga.