Visto il prezzo che il popolo palestinese sta pagando, mi chiedo: valeva la pena di fare quell’azione militare del 7 ottobre? Forse no.
Nando Corso
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Gentile lettore, non c’è dubbio che l’attacco di Hamas abbia infranto il mito dell’invincibilità d’Israele, già ammaccato dalla sberla di Hezbollah nella guerra del 2006. È anche passato il messaggio che dopo 56 anni di occupazione il popolo palestinese è indomito, mentre crescono le simpatie per la sua causa in tutto il mondo: Europa, Africa, Asia, America del nord e del sud. Tutti ora chiedono “due Stati per due popoli”. Sono questi i risultati dell’azione di Hamas e spiegano la rabbiosa rappresaglia israeliana con sproporzionata carneficina di civili, che va a detrimento di Tel Aviv. La questione è se Hamas avesse una strategia successiva, ossia accordi con altri Paesi per un attacco a Israele. Ma sembra di no. Finora non è successo nulla, tranne qualche razzo di Hezbollah sulla Galilea e un paio di missili andati a vuoto sparati dagli Houti dal lontano Yemen. Hezbollah non ha attaccato, l’Iran non si è mosso né ha bloccato lo Stretto di Hormuz per cui passa il petrolio, e i ricchi Paesi del Golfo non hanno neppure accennato a un blocco del greggio come accadde nel 1973-74 nella guerra del Kippur. Mi sembra dunque di poter dire, allo stato delle cose, che dietro l’attacco del 7 ottobre c’era una strategia corta, non un piano vasto. Forse Hamas aveva scommesso sulla sollevazione dei Paesi islamici, ma non c’è stata: sono scese in piazza le folle, ma i governi hanno taciuto. Ancora una volta i palestinesi sono stati abbandonati dai loro fratelli.
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