Con Giorgia Meloni presidente del Consiglio è stata scritta una pagina di storia della nostra Repubblica, mai una donna aveva ricoperto una simile carica e anche i detrattori più convinti per un attimo si sono lasciati accarezzare dall’idea che le cose potessero cambiare in meglio almeno per le donne che lei, stando al genere di appartenenza, rappresenta. Evidentemente deve essere un caso di disforia governativa, perché stando alle misure introdotte nella manovra – fresca di bollinatura quirinalizia – sembra che ci sia il peggiore degli approcci maschilisti alla base del testo.
Che tu sia una donna in età fertile bisognosa di assorbenti, o un’aspirante mamma che si fa responsabilmente due conti sul costo dei pannolini del suo bambino o, ancora, una lavoratrice che ambisce alla pensione anticipata ricorrendo a uno strumento come “Opzione donna” sappi che la prima donna Premier non ha lavorato per te. Nei primi due casi (aggiungiamoci anche il latte in polvere, va’!) ha pensato di incrementare l’IVA che è un modo di rimangiarsi in un sol boccone la promessa di abbassare le tasse e promuovere politiche di incremento della natalità, mentre sulla previdenza ha ritenuto di inasprire così tanto i requisiti sino a rendere di fatto lo strumento di cui molte donne si avvalevano del tutto inutile.
La manovra degli obiettivi mancati
Eppure, il fatto che la Presidente sia donna e per giunta “underdog” – come ama definirsi lei – avrebbe dovuto creare le condizioni non tanto per lo sfondamento del tetto di cristallo (che ci pare obiettivo sideralmente lontano, per quanto doveroso da perseguire), ma almeno per il sereno soddisfacimento di esigenze legate alla peculiare fisiologia del nostro genere (vedi caso tampon tax). Alla donna il cui ciclo, puntuale o no, si presenta ogni mese; alla mamma che deve sfamare il proprio bambino ricorrendo all’acquisto del latte; o alla signora che, ormai non più giovanissima e usurata dal lavoro, avrebbe diritto alla pensione anticipata la Meloni cosa offre? Chiacchiere. Evidentemente rea di aver tradito le promesse fatte in campagna elettorale e di non fornire risposte concrete alle reali esigenze degli italiani, l’espediente trovato per distogliere l’attenzione dall’inadeguatezza governativa è tornare a parlare di riforme costituzionali e premierato.
Equilibri ridefiniti e svolta autoritaria
La cosa maggiormente preoccupante è che, alla luce delle misure di cui sopra (che sono solo una parte del mare magnum di problemi che genererà una manovra fatta di tagli su servizi essenziali) la Meloni ritiene opportuno tornare alla carica sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Il testo che approderà in Cdm venerdì non è ancora noto, ma asse portante è una interpretazione cesarista della carica del Primo Ministro con uno svuotamento parziale del ruolo del Capo dello Stato e del Parlamento, in una pericolosa ridefinizione degli equilibri.
Questa è materia per costituzionalisti e tecnici esperti, ma tremano le vene ai polsi quando la Meloni chiedendo “zero emendamenti” in Aula per la veloce approvazione della manovra, vuole catapultarci nella Terza Repubblica guidati da un Premier “solo al comando”, cosa alla quale di fatto ci sta già tristemente abituando e che comincia ad andare stretta persino ai suoi alleati il cui risentimento cerca di placare concedendo contentini qua e là che possano tradursi in bandierine da sventolare con il proprio elettorato. Con tutto il fumo negli occhi prodotto da un governo affinché non vediamo le storture di una manovra che ama definire “seria e responsabile”, un’unica grande certezza: questo non è un Paese per donne.