“Cosa farei io? Non ci andrei…”. L’ex vice presidente della Vigilanza Rai, giornalista dell’Espresso in pensione, già direttore de Il Centro, Primo Di Nicola, ha le idee chiare su cosa farebbe al posto del conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, se a ricevere la convocazione della Commissione parlamentare fosse toccato a lui.
Intanto una premessa: annunciando la sua candidatura a senatore nel 2018, dichiarò che al termine del suo mandato non sarebbe tornato a fare il giornalista. Promessa mantenuta.
“Certo. Le porte girevoli tra giornalismo e politica non fanno bene né all’uno né all’altra perché si rischia di screditare sia la professione che il mandato parlamentare. Il giornalista eletto diventa, politicamente, un uomo di parte e tornare a fare attività giornalistica, qualunque cosa si scriva, legittima il dubbio agli occhi dell’opinione pubblica che si sia persa irrimediabilmente quella credibilità e imparzialità che un giornalista dovrebbe avere”.
Dopo tre puntate, Report è tornato sotto attacco con la convocazione di Ranucci in Commissione di Vigilanza. Un film già visto?
“Esattamente. Con tutto il rispetto per i componenti della Vigilanza Rai, richieste di questo tipo vennero fatte ripetutamente anche nella passata legislatura”.
Ma con esiti diversi…
“Ricordo richieste di convocazioni nominative su giornalisti, titolari di rubriche e conduttori di trasmissioni. Personalmente mi sono sempre opposto”.
La convocazione di Ranucci è relativa ai criteri e i parametri seguiti nella predisposizione delle trasmissioni, ai costi e ai risultati conseguiti.
“Bene, ma che c’entra questo con il compito istituzionale della Vigilanza che è quello di dare indirizzi al servizio pubblico ed eventualmente controllare la corretta applicazione di questi indirizzi?”.
Peraltro, a sentire alcuni esponenti della maggioranza, alcune domande potrebbero anche esulare dall’oggetto della convocazione.
“E quali sarebbero queste domande?”
Per esempio, “chi ha pagato dei figuranti che hanno interpretato il ruolo di parlamentari fantomatici e molte altre cose anche sulla vicenda della Colombia”.
“La Vigilanza non può svolgere questo tipo di attività, fermo restando il diritto di sporgere querela da chiunque si senta leso, da Report come da ogni altra trasmissione. Qui il problema è che una convocazione di questo tipo non doveva proprio essere fatta. Perché, ripeto, i compiti della Commissione sono altri”.
Una scelta della maggioranza. L’opposizione poteva fare di più per contrastarla?
“Mi è capitato di leggere alcuni comunicati di membri della Vigilanza che non hanno condiviso questa scelta e che sono arrivati addirittura a parlare di intimidazione nei confronti del Servizio pubblico. Qualcuno quindi ha compreso l’estrema criticità di questa iniziativa, peccato che non ne abbia tratto le dovute conseguenze. Se quest’atto è tanto grave e intimidatorio, che senso ha restare ancora in quella Commissione?”.
Sta dicendo che chi non ha condiviso quella decisione dovrebbe dimettersi?
“Quando di fronte a una decisione presa da una maggioranza qualcuno ritenesse che siano stati violati principi costituzionalmente garantiti, come il diritto all’informazione, quel qualcuno farebbe bene a mettere da parte il bon ton istituzionale e a far saltare il banco, abbandonando Commissione e incarico per denunciare ai presidenti di Camera e Senato la gravità della situazione”.
La convocazione di un giornalista in Vigilanza non rischia di creare un precedente pericoloso?
“è con queste argomentazioni che nella scorsa legislatura mi sono, con altri commissari, battuto per evitare convocazioni improprie in Commissione. Oggi tocca a Ranucci perché a turno le sue inchieste non sono piaciute alla destra, alla sinistra e al centro. Di questo passo si arriverà a convocare anche i cronisti autori di servizi non graditi. Se passasse questo principio, in Rai nessuno potrà più sentirsi al sicuro visto che non c’è nessun direttore, capostruttura o amministratore impegnato a garantire l’autonomia professionale e l’indipendenza dell’informazione. Sarebbe la pietra tombale, non solo sul Servizio pubblico, ma anche sul giornalismo tout court visto che finora non ho visto nessuno stracciarsi più di tanto le vesti per la convocazione di Ranucci”.
Morale della storia?
“La verità è che anche questo episodio rivela, come più volte ho detto nella passata legislatura, non solo l’inutilità della Commissione di Vigilanza, ma in certi casi anche la sua dannosità”.
Mica ne starà chiedendo l’abolizione?
“Stando così le cose, certamente sì. Ma insieme a quella riforma del Servizio pubblico di cui non sentiamo più parlare. Anche perché ormai la Vigilanza sembra diventata l’ufficio reclami della politica, dai ministri ai governatori di Regione”.
Ma lei, al posto di Ranucci, che farebbe? Si presenterebbe in Vigilanza?
“Ranucci ha il diritto di fare quello che crede, ma in questa vicenda in gioco non c’è solo lui e la sua trasmissione. Cosa farei io? Non ci andrei e farei quello che altri in Vigilanza avrebbero dovuto già fare”.
Sarebbe a dire?
“Mi appellerei ai presidenti di Camera e Senato per chiedere loro se quella convocazione, con le motivazioni che per iscritto o in pubbliche dichiarazioni sono già state rese note, rientra nei poteri della Commissione di Vigilanza”.
Il caso Report riapre l’irrisolto rapporto, da sempre conflittuale, tra politica e giornalismo. E lei ne sa qualcosa…
“Però da giornalista ho avuto la fortuna di avere editori e direttori che mi hanno sempre tutelato. La politica è abituata a chiedere. Quando sull’Espresso cominciai a scrivere le prime inchieste sugli sprechi e sui privilegi dei parlamentari, ricordo che venimmo convocati per un pranzo io e il direttore, da uno dei massimi esponenti delle istituzioni dell’epoca che si lamentò di questi articoli perché a suo avviso gettavano discredito sul Parlamento. La richiesta più o meno esplicita era di farla finita. Ricordo che l’allora direttore dell’Espresso, Giulio Anselmi, disse, alzandosi dal tavolo, che avremmo continuato come e più di prima a fare le nostre inchieste. Cosa che avvenne puntualmente”.
È immaginabile una scena simile nella Rai controllata dalla politica?
“Finora non è successo. Per Report, dal presidente all’Ad ai componenti del Cda, nessuno ha aperto bocca. Anche se tra i loro compiti primari ci sarebbe proprio la tutela dell’autonomia, dell’indipendenza del Servizio pubblico e dei suoi giornalisti. E non è un fatto di uomini, ma di sistema. A nominarli sono stati i partiti, cioè proprio coloro che a turno, quando vengono tirati in ballo in qualche servizio, si lamentano”.