Prima l’invasione della Palestina con “uno sbarramento di fuoco prolungato su Gaza e una serie di manovre di terra per l’eliminazione dei membri di Hamas e delle strutture” della fazione, poi una seconda fase “intermedia” per “eliminare i restanti nidi di resistenza” e, in ultimo, la terza fase che culminerà con “la creazione nella Striscia di una nuova realtà di sicurezza sia per i cittadini di Israele sia per gli stessi abitanti di Gaza”.
Come illustrato in modo molto chiaro il ministro della Difesa di Tel Aviv Yoav Gallant, così si articolerà l’offensiva dell’esercito israeliano per mettere fine al conflitto e ridisegnare gli equilibri dell’intero Medio Oriente. Ormai il punto non è ‘se’ l’invasione della Striscia si farà, ma soltanto ‘quando’ questa ci sarà. Del resto il maggiore generale di Israele, Yaron Finkelman, parlando alle truppe stanziate vicino al confine con Gaza, ha detto che “ormai tutto è pronto”, precisando che l’operazione sarà “lunga e intensa” ma che non ha dubbi che “li sconfiggeremo nel loro territorio”.
Invasione e bombe: storia già vista
In attesa del blitz – che può iniziare letteralmente da un momento all’altro -, continuano imperterriti i lanci di razzi da parte di Hamas – che ieri a sorpresa ha liberato due ostaggi americani – e da Hezbollah a cui si ora si stanno unendo anche i miliziani della Siria, dell’Iraq e dello Yemen, e le inevitabili risposte dell’aviazione israeliana.
Scontri quotidiani e spaventosi che ieri hanno causato un nuovo tragico incidente, non molto diverso da quello di pochi giorni fa con cui è stato colpito l’ospedale Al-Ahli di Gaza city, con una bomba che ha colpito una chiesa ortodossa causando 17 vittime, tra cui un dipendente della Caritas, e un numero imprecisato di feriti e dispersi.
Questa volta nessun dubbio sulle responsabilità perché l’esercito israeliano ha ammesso di “aver colpito un muro vicino” alla chiesa e che indagherà per capire cosa sia andato storto. Una spiegazione che non è bastata al Patriarca ortodosso di Gerusalemme che ha espresso la “sua più ferma condanna per l’attacco aereo israeliano” spiegando che “prendere di mira le chiese e le loro istituzioni, insieme ai rifugi, costituisce un crimine di guerra che non può essere ignorato”.
Pioggia di critiche per Israele
Quel che è certo è che questo nuovo incidente ha creato ulteriori tensioni in tutto il Medio Oriente. Tra i più critici il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: “Ribadisco il nostro appello all’amministrazione israeliana del primo ministro Benyamin Netanyahu a non ampliare ai civili la portata dei suoi attacchi e fermare immediatamente le operazioni che stanno per diventare un genocidio”.
Situazione che si sta surriscaldando sempre più come ha rivelato l’’ambasciatore palestinese a Mosca, Abdel Hafiz Nofal, che si è detto convinto che “l’Egitto, la Giordania e il Libano probabilmente entreranno nel conflitto in Medio Oriente con l’inizio dell’operazione di terra israeliana nella Striscia di Gaza”.
La grande paura
Difficile dire se le cose andranno così anche se la sensazione è che si cercherà in ogni modo di evitare un’escalation del conflitto, ma che il timore di un allargamento – seppur remoto – esista lo si capisce dal fatto che le ambasciate occidentali hanno già consigliato ai propri connazionali di lasciare i Paesi dell’area.
Una decisione che appare inevitabile anche davanti alle folle oceaniche che continuano a scendere in piazza in tutto il Medio Oriente per chiedere di proteggere i palestinesi da quello che viene definito “un eccidio”. Rabbia che ieri è cresciuta a dismisura anche perché, contrariamente a quanto annunciato, il valico di Rafah per permettere l’ingresso degli aiuti umanitari e per concedere la via di fuga a chi vuole lasciare Gaza, ancora una volta è rimasto chiuso a causa dei continui bombardamenti israeliani.